venerdì 22 luglio 2016

Tre piccole storie - 2

Tornano i microracconti


NUMERO 37

Li vide un giorno, mentre aiutava un signora di mezz'età a provarsi un paio di stivali. Erano due piedi splendidi, piccoli ben curati, un 37 di sicuro. Non vide altro di quella donna, ma già si era innamorato. Sperò che presto quei due deliziosi piedini, presto sarebbero tornati in negozio, ma ciò non avvenne mai, così cominciò a cercarli lui; li cercò per molti giorni e molte settimane, in giro per la città e per la regione, ma non ci fu niente da fare. Alla fine, dopo due anni, affranto, dovette arrendersi.
 Vent'anni dopo, stava aiutando una graziosa bambina a calzare un paio di sandali rosa; la piccola si rivolse alla madre: "Prendi anche tu le scarpe, mamma?". Lui che vedeva solo i piedi della donna, alzò lo sguardo sorridendo: "Numero 37, vero?"




ORA SO!

Quando sono arrivato qui ero un giovane neolaureato, pieno di energia ed entusiasmo. Oh, certo, i primi tempi furono difficili, ma io ero un tipo tenace e non mi facevo commuovere facilmente. Poi però arrivò Luca; aveva solo undici anni, con due occhi tristi, come mai ne avevo visti. Ma a turbarmi maggiormente era il suo sguardo; uno sguardo così vecchio che avrebbe potuto appartenere ad un centenario, uno sguardo colmo di sapere eppure altrettanto pieno di paura. Tentai chissà quante volte di entrare in quella piccola testa, per capire perché un bambino così piccolo fosse ricoverato lì, ma per molti mesi lui non proferì parola, non una, con nessuno. Fino alla settimana scorsa, quando, durante il turno di notte, mi si avvicinò e mi bisbigliò qualcosa all'orecchio. Oggi sono il suo vicino di letto, alla stanza numero 9, terzo piano psichiatria.





PERDITA DELL'INNOCENZA

Era stata una vacanza splendida; solo lui e sua madre. Assieme si erano divertiti molto, giochi, risate, lunghe passeggiate sulla battigia al tramonto, chiacchierando di questo e di quello. Questa era l'ultima notte che passavano in albergo, domani sarebbero tornati a casa, ma lui era felice perché poteva stare sempre accanto a sua mamma. Sorrise mentre lei lo aiutava a infilarsi il pigiama, dopo aver fatto il bagno assieme e una strana sensazione gli prese lo stomaco e i testicoli nel vedere il corpo nudo di lei, che si preparava per uscire a bere qualcosa. Più tardi quella notte, fu svegliato da strani rumori e spiando nella camera di sua madre, la vide assieme ad uomo, nell'esercizio del più alto piacere umano, a lui ancora oscuro. Qualcosa si lacerò dentro di lui. Silenziosamente uscì sul terrazzo, si sollevò oltre il parapetto e spiccò il volo.


mercoledì 13 luglio 2016

Son of Rambow (2007)



"Il figlio di Rambo" (Son of Rambow) è una simpatica e intelligente commedia-dramma, che come spesso accade, in Italia è passata velocemente e praticamente inosservata (ora viene trasmessa di tanto in tanto su canali satellitari).
Will  vive in una famiglia che fa parte di una severa comunità religiosa, in casa non hanno la tv, non è mai stato al cinema e a scuola è costretto a uscire dalla classe quando vengono usati maeriali audiovisivi; è un ragazzino solitario e timido, ma dotato di grande immaginazione. Lee Carter invece è un bambino scalmanato, sempre in mezzo ai guai, che vive solo con il fratello maggiore (i genitori sono sempre in giro per il mondo) nei pressi di una casa di riposo per gli anziani. Anche lui è solo e bisognoso d'affetto e ha il grande sogno di dirigere un remake amatoriale di Rambo. Un giorno i due bambini si incontrano e Lee Carter chiede a Will di aiutarlo nel suo progetto, e questi, dopo aver visto casualmente Rambo in videocassetta, accetta entusiasta, la proposta del nuovo amico.Per Will inizia così un periodo felice, fatto di avventure e momenti emozionanti assieme a Lee Carter, ma anche di bugie che è costretto a raccontare in famiglia per poter giocare come un normale bambino.Nel frattempo a scuola arriva un gruppo di studenti francesi, tra cui spicca lo stravagante Didier, che riscuote subito un enorme successo tra i ragazzi locali. Un giorno, quando Lee Carter è in punizione, annoiato e venuto a conoscenza del progetto dei due ragazzini, Didier convince Will a fare di lui il protagonista della storia; felice delle attenzioni che sta ricevendo, il bambino finisce con il tradire la fiducia e l'amicizia di Lee Carter.
Nel finale, Will si darà da fare per riconquistare l'amico. 



Il soggetto in se è semplice, la storia di due bambini che fanno amicizia, litigano e tornano a essere amici non è certo una novità al cinema, ma in questo film è raccontata in maniera originale, e intelligente.Il tema principale è quello dell'amicizia, che qui vede protagonisti due bambini dai caratteri differenti, ma che proprio per questo sapranno coniugarsi al meglio. Divertente l'idea attorno a cui ruota il film, cioè quella di realizzare una sorta di remake amatoriale di Rambo, idea che è quasi un MacGuffin, perché è vero che il film si basa proprio sulla costruzione di questo remake, ma in realtà, la cosa veramente importante è lo sviluppo dell'amicizia tra i due protagonisti. 
Un'altra importante tematica toccata dal film, è quella dell'ambiente familiare; infatti entrambi i ragazzini vivono situazioni di famiglie problematiche, l'uno con una madre che frequenta una comunità religiosa e costringe i figli a vivere secondo i dettami (per lo più bigotti e restrittivi)  di tale comunità; l'altro con una famiglia assente e affidato ad un fratello distratto e che lo costringe a mille lavoretti domestici. In entrambi i casi, grazie alla loro amicizia, anche le rispettive famiglie capiranno i bisogni e le esigenze dei due bambini, tornando a essere uniti. Nel film si alternano dunque momenti divertenti, come quando Will si presenta a casa dell'amico vestito da Rambo o la sequenza del cane volante, e momenti più drammatici, come il commovente finale, ne esce così una pellicola simpatica, ma anche intelligente, ed è un peccato che da noi sia così snobbata.Bravi tutti i protagonisti, che risultano essere convincenti nei loro ruoli. Si dice che Stallone inizialmente perplesso dall'operazione, pensando si trattasse di una specie di parodia, dopo aver visto il film ha deciso di sostenerlo trovandolo commovente e intelligente.


domenica 3 luglio 2016

La sorellina

Oscar, cinque anni, un metro e dieci per venti chili. Un bambino normale; sorridente e dolce, con la tenerezza che caratterizza tutti i bambini. Così fu, almeno, fino a quel giorno, quando i suoi genitori tornarono a casa dall'ospedale e gli dissero che sarebbe diventato un fratello maggiore. Lui li guardò con occhi stupiti, perplesso.
<<Presto avrai una sorellina, non sei contento?>>
<<No.>> rispose deciso lui, andando a chiudersi in cameretta.
Mamma e papà non ci fecero caso, ritenevano che fosse una normale fase, solo un po’ di gelosia, che prima o poi sarebbe sparita.
Oscar era piccolo, ma sapeva che quell'evento avrebbe cambiato drasticamente la sua vita; avrebbe dovuto condividere l’affetto dei suoi genitori con la nuova arrivata, non sarebbe più stato il loro unico pensiero e lui li voleva tutto per se. Non era mai stato geloso o egoista, ma fino a quel momento non aveva mai avuto motivo di esserlo.
Nei mesi successi, Oscar divenne sempre più capriccioso e irritabile, man mano che si avvicinava il momento della nascita della bambina. Quei “no”, che prima accettava senza fare troppe discussioni, ora erano diventati motivi di continue polemiche; bastava un nonnulla per farlo andare in escandescenze e farlo scoppiare in un pianto isterico.
I suoi genitori fecero di tutto per far si che non si sentisse trascurato, lo coccolavano, giocavano con lui come avevano sempre fatto, senza però viziarlo, come sarebbe venuto naturale fare; così a volte la situazione sembrava tornare alla normalità, Oscar ritornava a essere il bambino di una volta, buono e dolce, ma dopo qualche giorno, di nuovo, tutto precipitava.
Fu il giorno in cui nacque la bambina che, inaspettatamente, Oscar cambiò atteggiamento.
Arrivò in ospedale tutto ben vestito, con le scarpe da tennis che scricchiolavano sul linoleum lucido, e sottobraccio il suo album da disegno. Davanti alla porta della camera si bloccò: sua mamma era lì, seduta sul letto, che allattava la bambina.
<<Ciao…>> mormorò
<<Ciao piccolo mio>> rispose lei <<vieni a conoscere la tua sorellina?>>
Oscar si avvicinò lentamente; osservò prima la mamma e poi la bambina e dopo un attimo di esitazione la baciò sulla fronte.
<<E’ bella…>> disse sorridendo.
Un sorriso forzato, forse non del tutto sentito, ma almeno ci stava provando. Così pensarono i suoi genitori, mentre Oscar si sedeva sul letto libero di fronte e cominciava a disegnare nel suo album.
Da quel giorno, il bambino, diventò sorprendentemente docile, non diede più segni di intemperanza e ubbidiva senza far storie alle richieste dei genitori. Tuttavia era sempre serio, e pensieroso e sembrava voler evitare ogni contatto con la bambina, da cui si manteneva costantemente lontano, salvo in pochissime occasioni, in cui sua madre lo sorprese a osservare la sorella mentre dormiva nella culla. In quelle occasioni, lei si spaventava sempre, perché vedeva negli occhi di suo figlio una luce cattiva, di odio, ma non credeva che un bambino così piccolo fosse in grado di provare quei sentimenti e finiva col rispondersi che era solo la sua immaginazione.

Quella sera, Oscar andò a letto subito dopo i cartoni animati senza fare obbiezioni, come aveva imparato a fare da un po’ di tempo a quella parte. Prima però, controllò che sotto al materasso ci fosse ancora quella cosa che aveva nascosto quel pomeriggio; quando fu certo che era ancora lì, spense la luce e si infilò sotto le coperte.
Più tardi, quando fu certo che sua mamma e suo papà si fossero addormentati, prese l’oggetto da sotto il letto e silenziosamente, andò a trovare sua sorella. La porta della camera era aperta, per far si che i suoi genitori avrebbero sentito se la bambina si fosse svegliata piangendo, lui entrò senza accendere la luce; per quel che doveva fare era sufficiente quella che filtrava dal corridoio. Si sollevò in punta dei piedi e guardò dentro la culla: la bambina stava pacificamente dormendo e per un secondo la trovò realmente bella, ma poi gli tornarono in mente tutte le volte che era stato sgridato, tutti i giochi a cui aveva dovuto rinunciare, tutti quegli abbracci che non aveva più ricevuto da quando lei era entrata nella sua vita e in un attimo sentì l’odio crescergli dentro.
Entrò nella culla per essere più comodo, poi sollevò in alto il martello che teneva in mano, ma un istante prima che riuscisse a calarlo sulla testa di sua sorella, qualcosa lo bloccò. La bambina aveva gli occhi spalancati e lo stava osservando.

Oscar cominciò a tremare e solo un gorgoglio gli uscì di gola: quelli non erano gli occhi di una bambina, erano gli occhi di un animale feroce, di quegli animali che vedeva sempre ai documentari la domenica mattina. Poi la bambina gli sorrise, gli sorrise con gialli e affilati denti e allora lui ritrovò il fiato per urlare, ma fu un attimo troppo tardi. In un instante lei gli fu addosso e affondò i lunghi canini nel suo collo, squarciandogli la piccola e tenera gola e mentre il mondo cominciava a diventare grigio e indistinto, calde lacrime gli bagnarono il volto, ma non era per paura che stava piangendo, la sua era felicità, perché assieme alla vita, sentiva anche scivolare via tutto quell'odio che tanto lo aveva fatto soffrire.