lunedì 26 novembre 2018

Germania anno zero (1948)

Ancora una volta, a causa di vari imprevisti, invece di pubblicare di qualcosa di totalmente inedito, di ripescare una vecchia recensione:

Nella Berlino del dopoguerra, città distrutta e in ginocchio, Edmund, un ragazzino tredicenne, deve provvedere al mantenimento della sua famiglia. Un padre invalido, un fratello disertore ricercato come ex nazista, e la sorella che si prostituisce ai soldati alleati. Giorno dopo giorno la vita è sempre più triste e difficile, finché Edmund incontra un suo ex maestro: un individuo ambiguo e cinico, al quale il ragazzino chiede aiuto. L'uomo "plagia" la mente del ragazzino con assurde teorie sui più deboli che devono soccombere per permettere la sopravvivenza dei più forti. Ispirato da tali discorsi, Edmund avvelena il padre. Preso dai rimorsi e dai sensi di colpa, il bambino torna dal maestro, che invece di confortarlo lo tratta da assassino. Edmund allora comincia a vagare tra le macerie di Berlino, entra in una chiesa, sale sul campanile dopo aver visto il carro funebre che porta via il corpo del padre morto, si lascia cadere nel vuoto.



Film con il quale conclude un ideale trilogia della guerra, dopo "Roma città aperta" e "Paisà", è per Rossellini un'opera di transizione tra il neorealismo e l'attenzione ai drammi esistenziali dell'uomo. Nel film si vede una Berlino segnata dalla guerra, ma non solo fisicamente, anche socialmente e psicologicamente. Città in cui regnano degrado, microcriminalità e forti contraddizioni e in cui il piccolo protagonista cerca di sopravvivere, schiacciato dalle molte responsabilità e da un infanzia perduta, tra lavori precari e le oscene proposte del vecchio maestro. 



Ed è proprio la figura dell'insegnante ad esprimere al meglio la crudeltà e la mostruosità del momento; quella che dovrebbe essere una figura di riferimento e di conforto, e che dovrebbe avere un ruolo pedagogico, si rivela invece essere un mostro pronto ad approfittare del momento di confusione per esprimere le sue tendenze pedofile e per esporre la sua ideologia nazista in particolare circa gli esseri inferiori che devono essere eliminati perché sono solo parassiti. Anche la famiglia però, che dovrebbe essere una sorta di cellula di protezione, si rivela invece essere inadeguata per la crescita del giovane Edmund, che non solo non è protetto dai suoi cari, ma vi deve pure provvedere. 



Uccidendo il padre, su suggerimento dell'ipocrita maestro, Edmund è realmente convinto di fare la cosa giusta, di fare del bene. Come De Sica, anche Rossellini, punta il dito contro gli adulti per la formazione delle nuove generazioni e in questo contesto il suicidio del ragazzino assume un ruolo di liberazione. Edmund è una vittima della guerra causata dalla follia degli adulti. L'anno zero del titolo è un anno che ancora deve venire, è quell'anno in cui si riuscirà a ricostruire un futuro per le nuove generazioni.

venerdì 16 novembre 2018

Stella (2008)

Stella ha undici anni, e vive con i suoi genitori che gestiscono un bar-locanda nella banlieue parigina, frequentato per lo più da disadattati e alcolizzati. Quando inizia a frequentare la prima media, di un istituto “borghese”, la ragazzina sente che manca qualcosa nella sua vita; infatti mentre sa tutto sul calcio, sui giochi di carte e sui “fatti della vita”, all’inizio a scuola ha solo brutti voti. L’amicizia con una compagna di classe, figlia di intellettuali argentini la spingerà a migliorarsi e a desiderare qualcosa di più di quello che la vita le ha dato finora.



Stella è un piccolo film francese, da noi distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti, ma in talmente poche copie che pochissimi lo conosceranno. Eppure è un film che merita molta attenzione; delicato e intelligente strizza l’occhio sia al Truffaut de “I quattrocento colpi” e “Gli anni in tasca”, sia allo stile dei fratelli Dardenne. Impossibile non affezionarsi alla piccola protagonista, una bravissima Léora Barbara, costretta a crescere in un ambiente non adatto ad una ragazzina della sua età. I suoi modelli sono ubriaconi, giocatori incalliti, piccoli criminali; assiste spesso a risse e una volta persino ad un omicidio.



E i suoi genitori non sono figure migliori, con i loro problemi (di coppia e personali) non riescono a seguire la figlia nel delicato periodo del passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Così Stella si costruisce un muro, una barriera che le impedisce di relazionarsi con gli altri e di esplorare strade diverse, rassegnata all’ignoranza che il suo contesto sociale pare volerle cucire addosso. Tuttavia, quando comincia a frequentare una scuola nuova, comincia a sentire l’esigenza di adattarsi a questa nuova realtà, di essere più simile a quei compagni così “intelligenti”.



Inoltre sente il bisogno di avere dei veri amici, che non siano gli adulti che frequentano il bar, che pure si sono affezionati a lei (qualcuno fin troppo) e che non sia nemmeno l’amichetta  delle vacanze, una ragazzina un po’ troppo spigliata e precoce, a cui è legata solo dai ricordi di un infanzia spensierata, fatta di giochi e scherzi. Ed ecco, allora conosce Gladys, una ragazzina figlia di gente di cultura; e quest’amicizia spinge Stella a migliorarsi, a impegnarsi nello studio,  per uscire da  quell’ambiente che ormai sente stretto.



Molto brava Sylvie Verheyde, sia nel disegnare il personaggio di Stella, per cui, dice essersi ispirata alla propria vita ed esperienza. Ben delineati gli ambienti che la bambina frequenta maggiormente: il bar e la scuola, entrambi con i loro personaggi, alcuni positivi altri negativi, ma tutti utili per l’evoluzione della protagonista.
Certo il film non è perfetto; alcuni personaggi e alcune situazioni avrebbero richiesto un maggiore approfondimento, ma tutto sommato l’opera si mantiene sempre su un livello molto buono e riesce ad coinvolgere emotivamente.



Tenera la sequenza del ballo alla festa, che non può non ricordare quella de “Il tempo delle mele”, ma senza la furbizia calcolata del film Claude Pinoteau (anche perché i due film affrontano tematiche diverse). Una curiosità è che il film è uscito con il divieto ai minori di quattordici anni, forse a causa di alcuni argomenti delicati, o da parte del linguaggio, ma mio avviso, un divieto quanto meno discutibile…
In ogni caso un film da vedere e recuperare.

lunedì 12 novembre 2018

I cartoni dimenticati (2) - Nello e Patrasche


Quando si parla di cartoni animati tristi quasi tutti tirano fuori i soliti tioli: "Le avventure di Remì", "Anna dai capelli rossi", "Peline Story" e così via, ma a differenza di quello che andrò ora a raccontarvi, questi anime sembrano un carnevale brasiliano, poiché hanno tutti, bene o male, almeno un happy end, cosa che il seguente cartone non ha.



"Nello e Patrasche" è un anime del 1992, prodotto dalla Tokyo Movie Shinsha, basata sul romanzo "Il cane delle Fiandre" di Maria Louise Ramé, in arte Ouida.
La storia è ambientata nelle Fiandre, in Belgio, nei pressi di Anversa alla fine dell'800 e racconta le vicende del piccolo Nello, che orfano di entrambi i genitori, vive con il nonno con il quale si guadagna da vivere vendendo latte. Un giorno, il bambino, trova lungo la strada un cane delle Fiandre ferito, che dopo aver curato, chiamerà Patrasche. Il cane si dimostra subito affettuoso e riconoscente nei confronti del suo nuovo padroncino e da quel momento lo aiuterà nel trasporto del latte dalla casa del nonno alla città.



Dotato di un grande talento per il disegno e la pittura, Nello desidererebbe vedere l'opera di Rubens, per il quale il ragazzo prova grande ammirazione, esposta nella chiesa in città, ma visitabile solo a pagamento.
Nello ripone quasi tutte le speranze per una vita migliore in una gara di disegno ad Anversa, ma la giuria decreta un altro vincitore, sicuramente meno meritevole, ma figlio di un personaggio importante della città. Poco dopo muore il nonno del bambino, che affranto e senza più una casa, vagherà nella gelida notte invernale in cerca di un rifugio, che troverà proprio nella chiesa in cui sono esposte le opere di Rubes (La discesa dalla Croce e L'erezione della Croce). Felice per aver esaudito il suo desiderio, Nello morirà assieme al suo cane, a causa del grande freddo e verranno ritrovati, solo il mattino seguente, abbracciati.



L'anime è stato trasmesso per la prima volta in Italia nel 1994 su Telemontecarlo, in seguito riproposta sullo stesso canale, all'interno del programma "Zap Zap" e poi ritrasmessa con un nuovo doppiaggio da Rai 2 nel 2006 con il titolo "Il mio amico Patrasche"
Questa versione animata del romanzo (ne esiste una precedente del 1975, prodotta dalla Nippon Animation, dal titolo "Il fedele Patrash" e trasmessa in Italia nel 1984) è caratterizzata da disegni curati (i character design sono di Junichi Seki e Satoshi Hirayama) e ricchi di dettagli che ben rendono l'ambientazione fiamminga di fine ottocento e alcune sequenze sembrano quasi dei veri e proprio quadri d'autore.




Io l'ho visto la prima volta diversi anni fa e a conquistarmi furono inizialmente, proprio i bellissimi disegni e poi un po' alla volta mi sono fatto prendere anche dalla storia.
All'inizio della storia il nonno non vuole che Nello coltivi la sua passione per il disegno perché ritiene che proprio a causa di tal passione, il padre del bambino, marito di sua figlia non si sia curato molto della famiglia, portando appunto alla morte sua e della donna. Nello naturalmente continuerà a disegnare e solamente quando il nonno si renderà conto del vero talento del ragazzo non tenterà più di ostacolarlo.



Nel corso della storia, Nello incontrerà mille difficoltà e sarà vittime della cattiveria di molta gente che incontra, soprattutto da parte di adulti, cosa tipica di romanzi di fine ottocento, ma come dicevo all'inizio, a differenze di molti di altri, in questo caso, non c'è happy end; infatti anche il protagonista troverà la morte, che probabilmente si sarà liberato di tante sofferenze e avrà, per lo meno, realizzato il sogno di vedere i quadri che tanto desiderava vedere, ma sicuramente non si può parlare di motivazioni consolatorie per un finale così drammatico. Ricordo che quando lo vidi la prima volta ci rimasi molto male, sperando che magari fosse solo un sogno o una morte apparente, ma così non fu.


Ad ogni modo lo considero un anime molto bello, adatto soprattutto a chi ama le storie drammatiche e con disegni semplicemente splendidi, dunque armatevi di una scatola o due di kleenex e dagli una possibilità.

martedì 6 novembre 2018

Addio Apu? Quando il buonismo diventa patetismo

Ormai la notizia gira in rete da qualche settimana; sembra che la Fox sia intenzionata di eliminare il personaggio di Apu, dalla serie de "I Simpson".
Tutto ha inizio più di un'anno fa, quando il comico americano di origini indiane, Hari Kondabolu ha fatto notare che il personaggio di Apu Nahasapeemapetilon (questo il nome completo del gestore del Jet Market) sia un insieme di stereotipi e pregiudizi che gli occidentali hanno nei confronti degli indiani. Il fatto che il personaggio sia doppiato da un attore bianco poi, non ha fatto che peggiorare le cose; infatti secondo Kondabolu, Apu non sarebbe che un "uomo bianco che imita un uomo bianco che prende in giro mio padre".
Nonostante alla Fox abbiano provato a trovare una soluzione al problema, le continue e insistenti polemiche hanno portato alla decisione di eliminare il personaggio.



Questi i fatti.
Ora, è vero che ormai da diversi anni che i Simpson hanno perso la loro verve e sono diventati una parodia di loro stessi, ma che arrivassero addirittura a rinnegare la loro natura mi pare quanto meno patetico. Quello che, infatti, aveva portato al successo lo show, era la sua irriverenza, il suo prendere in giro la nostra società, soprattutto quella americana, anche attraverso gli stereotipi.; basti pensare a come vengono disegnati i personaggi di origine italiana, ovvero un mafioso (Tony Ciccione) e un cuoco ignorante (Luigi Risotto). Però nessuno ha pensato di eliminare questi soggetti, perché appunto macchiette, che magari caricaturizzano certi italiani, ma non ne sono una vera rappresentazione.



Eppure nel caso di Apu, la questione sembra essere degenerata e pur di evitare accuse di razzismo, gli autori hanno deciso di eliminare il problema alla fonte.
La cosa che mi fa sembrare tutto più assurdo è che, a far nascere le polemiche, sia stato un comico, cioè una persona che dovrebbe ridere di questi stereotipi e giocarci sopra.
Stiamo forse arrivando ad un punto in cui non sarà più possibile fare dell'umorismo e dell'ironia? Ad un eccesso di buonismo che sicuramente non fa bene al mondo dello spettacolo, ma anche alla vita in generale?
E allora meglio il "politicaly incorrect" dei Griffin, certo a volte eccessivi, ma per lo meno che non si svendono per delle polemiche di poco conto.
Probabilmente continuerò a guardare i Simpson, soprattutto i vecchi episodi, infondo ci sono affezionato,  ma la mia delusione è inevitabile.