domenica 19 giugno 2016
Nessuno lo sa (2004)
Bellissimo film, che riesce a essere poetico e duro allo stesso tempo. Koreda ci racconta questa storia, basata su un fatto realmente accaduto, con un talio quasi documentaristico, come a dire "questo è quello che è successo, giudicate voi". All'inizio la madre viene mostrata affettuosa, che cerca di fare il possibile per mantenere i quattro figli e per loro è normale viaggiare nascosti all'interno di una valigia o rimanere sempre dentro all'appartamento senza la possibilità di uscire. Solo il più grande, che ha appena dodici anni,può muoversi tranquillamente ed è costretto a prendersi cura dei fratelli più piccoli. Anche quando la madre parte una prima volta (dice per lavoro, ma si capisce che la verità è un'altra), ci viene mostrato tutto come se fosse normale. I bambini più piccoli chiusi in casa giocano e ridono, si divertono in questa situazione assurda, mentre il più grande deve occuparsi di loro andando a fare la spesa e nelle faccende domestiche, ma in lui si vede tutto il disagio di un bambino costretto a fare cose più grandi di lui. Lui vorrebbe giocare con i suoi coetanei, li osserva li invidia, vorrebbe andare a scuola, così come la sorella di poco più giovane, ma la madre non li ha iscritti, anzi loro per la legge proprio non esistono, dunque è costretto a studiare a casa da solo (significativa la scena in cui non riesce a risolvere una semplice operazione da terza elementare).
Nonostante tutto ciò, quando la madre parte un'altra volta per seguire una sua nuova fiamma (i bambini sono tutti figli di padri diversi), Akira, oltre a occuparsi come ha sempre fatto dei fratelli, lottando contro l'indifferenza dei vicini, e dei padri dei suoi fratelli, cercando di mantenere un regime di vita adeguato alla sua famiglia e non facendo mai mancare il sorriso e il buon umore, anche nei momenti più difficili. Il ragazzo riesce anche a fare amicizia, ma la situazione non dura molto. Dopo un po' il denaro che gli aveva lasciato la madre finisce, così i quattro bambini si devono arrangiare come possono, non tentano nemmeno più di nascondersi, mangiano avanzi, sono costretti a lavarsi alla fontana, perché la corrente e l'acqua in casa sono state bloccate. Ma mentre i più piccoli continuano a vivere tutto come un gioco, Akira, vive un forte disagio, non sa dove sbattere la testa, non può (non vuole) chiedere aiuto alla polizia perché altrimenti verrebbero tutti divisi, ma allo stesso tempo gli adulti a cui si rivolge si dimostrano indifferenti e sordi alla sua richiesta di aiuto. Molto belle le inquadrature dei particolari che usa il regista, come ad esempio le scarpe, troppo piccole per dei piedi che sono cresciuti, o lo smalto sulle unghie della sorella più grande, che un po alla volta si sta consumando, come la fiducia sul possibile ritorno della madre. O ancora la macchia, sempre dello smalto, sul pavimento, che ricorda l'egoismo della madre, che aveva rimproverato la figlia fin troppo aspramente. Solo alla fine, Akira, dopo un ultimo gesto da adulto, per tentare di mantenere unita la famiglia, riesce a essere quello che è; un ragazzino a cui è stato affidato fardello troppo pesante, e allora riesce a piangere. Un film da vedere e rivedere.
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