(Ripropongo qui un mio vecchio racconto)
Quando aprii gli occhi, quella mattina, la prima cosa che vidi fu il
soffitto bianco, ritinteggiato appena l’estate precedente. Rimasi a fissarlo
per una buona mezz’ora prima di decidermi ad alzarmi, con una strana sensazione
che mi permeava la mente.
Ciabattai lentamente fino alla finestra e aprendo le imposte, fui colpito dalla
bianca luce solare, tanto da dover chiudere per un istante le palpebre. Quando,
finalmente, riuscii a riaprire gli
occhi, lo spettacolo a cui mi trovai di fronte mi tolse il fiato: il giardino,
il quartiere e tutta la città erano ricoperti da un soffice manto bianco. La
sera prima avevo visto cadere i primi fiocchi, ma credevo che, come da molti
anni a questa parte, la neve si sarebbe presto trasformata in pioggia,
lasciando tutt’al più, qualche macchia bianca nelle zone in cui il sole non
riusciva ad arrivare.
Mentre richiudevo la finestra vidi Martino, il lattaio, nella sua tenuta
completamente bianca, attraversare il cortile dei miei vicini, lasciare accanto
alla porta un paio di bottiglie di latte e raccogliere quelle vuote. Poi,
camminando sulle sue stesse orme lasciate sulla neve, tornò al suo furgone.
Bianco.
Ancora una volta sentii una sensazione pungente alla base della nuca, ma
preferii non badarci e andai a farmi una doccia calda. Quando ne uscii, avevo
riempito completamente il bagno di vapore, che si era attaccato allo specchio
rendendolo del tutto opaco; ci passai
sopra uno straccio, rivelando la mia immagine riflessa, e iniziai a radermi, ma
con una pressione eccessiva, vicino allo zigomo, mi procurai un piccolo taglio, che inizio
subito a sanguinare.
Prima che riuscissi a tamponare la piccola ferita, alcune gocce caddero sulla
bianca ceramica del lavandino. Solo due piccole macchie rosse in un enorme
spazio bianco. Rimasi come ipnotizzato, nel vedere quei due puntini rossi, che
sembravano sverginare la purezza del lavabo.
Ad un tratto la vista mi si annebbiò e sentii le gambe venir meno; cercai di
resistere, di non svenire, ma fu tutto inutile, un attimo dopo ero a terra
privo di sensi, con la testa che aveva miracolosamente mancato il bidè.
Avevo sempre creduto che perdere conoscenza, fosse come precipitare in un
pozzo, scuro e profondo, invece mi ritrovai a galleggiare in ambiente
totalmente bianco e che sembrava espandersi all’infinito, in ogni direzione.
Quando ripresi conoscenza, mi accorsi che erano passati solo pochi minuti;
rinfrescai il viso sotto l’acqua gelida e scesi a prepararmi una colazione
rigenerante.
Fortunatamente, quando versai il caffè, ero già seduto, poiché il liquido nero
che danzava all’interno della piccola tazza di porcellana bianca, mi provocò
una nuova vertigine e se non mi fossi affrettato a togliere lo sguardo,
probabilmente sarei svenuto una seconda volta nel giro di un quarto d’ora.
Lasciai tutto come si trovava e andai al mio studio, dove mi aspettavano almeno
una mezza dozzina di tele vuote. Ne raccolsi una fissandola al cavalletto e
poi… poi mi sedetti sul pavimento osservando quel rettangolo bianco per diverse
ore, senza però riuscire a imprimervi nulla, ma il mio non era il classico
blocco dello scrittore riportato per un pittore; di idee ne avevo moltissime,
ma ogni volta che pensavo ai colori da inserire nella mia opera, questi si
mischiavano assieme fino a diventare un tutt’uno. Un solo colore. Bianco.
Rimasi così per tutta la giornata, senza scendere nemmeno per il pranzo e la
cena; infine, con la speranza di aiutare la concentrazione, presi il
telecomando dello stereo e premetti il pulsante che metteva in moto il giradischi.
Lentamente il braccio si levò dalla sua collocazione e andò a poggiarsi
leggermente sul disco che girava sul piatto.
Immediatamente le note di Back in USSR,
si diffusero per la piccola stanza. White
Album pensai, e quindi fui sorpreso da un’isterica risata; risi talmente
forte che presto mi ritrovai a terra, piegato su me stesso, con le braccia a
proteggere lo stomaco afflitto da fortissimi crampi e il volto bagnato dalle
lacrime.
Quando, finalmente, riuscii a superare l’eccesso di risa mi rialzai, spensi lo
stereo e me ne andai dallo studio. Mi sentivo totalmente esausto e privo di
forze, andando direttamente in camera da
letto e, sebbene la sveglia segnasse appena le nove, mi infilai sotto le
coperte.
Prima di sprofondare in un pesante sonno senza sogni, un ultimo pensiero fece
capolino nella mia mente; oggi è stato
bianco, e domani?
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