Dopo "Bianco", ecco il secondo racconto che scrissi per una personale trilogia sui colori. Più avanti pubblicherò anche il terzo racconto
Le casse dell’autoradio sputavano fuori a tutto volume la
voce di Ali Campbell che cantava “Red red
wine”, mentre Filippo, con le mani ben salde sul volante, rideva sguaiatamente per una delle sue solite
battute volgari.
“Sei un maiale” gli disse Sara
“Dai…stavo scherzando” si giustificò lui “era solo una battuta…”
“Ma era una battuta porca e sessista”
“Uffa” sbuffò Filippo “Ok ti chiedo scusa…mi dispiace”
Seduti sul sedile posteriore,Angela e Daniele era troppo occupati a baciarsi appassionatamente per accorgersi del piccolo bisticcio dei loro due amici, mentre fuori, il fievole bagliore del crepuscolo aveva preso posto delle luci del giorno.
Attraverso lo specchietto retrovisore, Filippo, vide l’amico infilare la mano nella camicetta della sua ragazza.
“Guardali” disse a Sara, indicando con un cenno della testa i due amanti.
“Uh, che teneri…” bisbigliò lei
“Teneri? Ma se stanno praticamente scopando sul mio sedile…”
“Non stanno scopando, si stanno solo baciando”
“Si…e l’uragano Katrina è stato solo una leggera brezza…” replicò lui sarcastico
Nel frattempo, alla radio, gli UB40 avevano lasciato spazio ai Rush e alla loro “Red Barchetta”.
“Stai a vedere che scherzetto gli combino adesso” coninuò Filippo, e iniziò a far maggior pressione sul pedale dell’acceleratore.
“Cosa vuoi fare?” chiese Sara
“Non ti preoccupare” tagliò corto lui
Lentamente, l’auto, stava acquistando sempre maggiore velocità, tanto che anche i due ragazzi sul sedile posteriore, cessarono la loro attività erotica per capire cosa stesse succedendo.
“Che cazzo combini?” chiese Daniele
“Niente…io sto guidando, voi due la dietro piuttosto…”
“Non fare lo stronzo Filippo, rallenta”
“Non sto mica facendo nulla…” continuò lui sprezzante
Ormai non c’era più nulla da fare, quando Filippo partiva per la tangente non c’era più modo di fermarlo, si poteva solo aspettare che rinsavisse da solo.
L’auto sfrecciò rapidamente oltre ad un cartello bianco, che indicava il nome del paese che stavano per attraversare. Sotto un segnale tondo ricordava il limite dei cinquanta chilometri orari nei centri abitati.
“Smettila di fare il bambino e rallenta” intervenne Angela, sapendo dove andare a colpire l’amico al volante.
“Ehi, a me non dai del bambino” righiò Filippo, voltandosi verso la ragazza
“Attento Filippo…” tentò di avvisarlo Daniele
“Attento a cosa?” replicò il ragazzo, ormai completamente fuori di senno
“E’ ROSSOOOOOOOOOO!!!!” urlò Sara
Filippo si girò di scatto e vide un’ombra comparire qualche metro davanti all’auto. Quando schiacciò il freno, con tutta la forza che aveva nelle gambe, sapeva già che era già troppo tardi e che l’impatto era ormai inevitabile.
Le gomme lasciarono un lungo segno nero sull’asfalto e lo stridio delle ruote, coprì la voce di Paolo Conte che cantava “Diavolo Rosso”. Poi si udì un colpo sordo e pochi metri più avanti l’auto si fermò.
Per un istante, che però ai quattro ragazzi sembrò durare un eternità, rimasero tutti bloccati, senza riuscire a proferir parola.
Filippo, spense il motore e lentamente, con le gambe che faticavano a reggerlo in piedi, scese dall’auto e si guardò attorno.
Poco
più indietro, una figura non ben distinta, giaceva immobile sull’asfalto al
lato della carreggiata, ma gli ci volle poco per capire di cosa si trattasse,
poiché la bicicletta da bambino in mezzo alla strada era invece ben visibile.
Con lo sguardo perso nel vuoto, Filippo, si avvicinò al luogo dove andava
radunandosi un gruppo di persone, attirate fuori dalle case e dai negozi, dal
rumore dello schianto. “Sei un maiale” gli disse Sara
“Dai…stavo scherzando” si giustificò lui “era solo una battuta…”
“Ma era una battuta porca e sessista”
“Uffa” sbuffò Filippo “Ok ti chiedo scusa…mi dispiace”
Seduti sul sedile posteriore,Angela e Daniele era troppo occupati a baciarsi appassionatamente per accorgersi del piccolo bisticcio dei loro due amici, mentre fuori, il fievole bagliore del crepuscolo aveva preso posto delle luci del giorno.
Attraverso lo specchietto retrovisore, Filippo, vide l’amico infilare la mano nella camicetta della sua ragazza.
“Guardali” disse a Sara, indicando con un cenno della testa i due amanti.
“Uh, che teneri…” bisbigliò lei
“Teneri? Ma se stanno praticamente scopando sul mio sedile…”
“Non stanno scopando, si stanno solo baciando”
“Si…e l’uragano Katrina è stato solo una leggera brezza…” replicò lui sarcastico
Nel frattempo, alla radio, gli UB40 avevano lasciato spazio ai Rush e alla loro “Red Barchetta”.
“Stai a vedere che scherzetto gli combino adesso” coninuò Filippo, e iniziò a far maggior pressione sul pedale dell’acceleratore.
“Cosa vuoi fare?” chiese Sara
“Non ti preoccupare” tagliò corto lui
Lentamente, l’auto, stava acquistando sempre maggiore velocità, tanto che anche i due ragazzi sul sedile posteriore, cessarono la loro attività erotica per capire cosa stesse succedendo.
“Che cazzo combini?” chiese Daniele
“Niente…io sto guidando, voi due la dietro piuttosto…”
“Non fare lo stronzo Filippo, rallenta”
“Non sto mica facendo nulla…” continuò lui sprezzante
Ormai non c’era più nulla da fare, quando Filippo partiva per la tangente non c’era più modo di fermarlo, si poteva solo aspettare che rinsavisse da solo.
L’auto sfrecciò rapidamente oltre ad un cartello bianco, che indicava il nome del paese che stavano per attraversare. Sotto un segnale tondo ricordava il limite dei cinquanta chilometri orari nei centri abitati.
“Smettila di fare il bambino e rallenta” intervenne Angela, sapendo dove andare a colpire l’amico al volante.
“Ehi, a me non dai del bambino” righiò Filippo, voltandosi verso la ragazza
“Attento Filippo…” tentò di avvisarlo Daniele
“Attento a cosa?” replicò il ragazzo, ormai completamente fuori di senno
“E’ ROSSOOOOOOOOOO!!!!” urlò Sara
Filippo si girò di scatto e vide un’ombra comparire qualche metro davanti all’auto. Quando schiacciò il freno, con tutta la forza che aveva nelle gambe, sapeva già che era già troppo tardi e che l’impatto era ormai inevitabile.
Le gomme lasciarono un lungo segno nero sull’asfalto e lo stridio delle ruote, coprì la voce di Paolo Conte che cantava “Diavolo Rosso”. Poi si udì un colpo sordo e pochi metri più avanti l’auto si fermò.
Per un istante, che però ai quattro ragazzi sembrò durare un eternità, rimasero tutti bloccati, senza riuscire a proferir parola.
Filippo, spense il motore e lentamente, con le gambe che faticavano a reggerlo in piedi, scese dall’auto e si guardò attorno.
In realtà, una parte di lui voleva allontanarsi da li, scappare il più lontano possibile, ma le gambe lo stavano guidando verso il punto dell’incidente, e seppur deboli e insicure, lui non riuscì a opporsi al loro volere.
Il corpo del bambino giaceva scomposto sul ciglio della strada, gli occhi spalancati fissavano il vuoto e i folti capelli biondi andavano assumendo un colore nerastro a causa del sangue che gli usciva abbondante dalla nuca, e dalle orecchie.
Pallido in volto, con gli occhi tremanti e la voce spezzata dal terrore, Filippo tentò di sbiascicare qualche forma di scusa, e fu allora che un ragazzotto, in tuta da meccanico, gli si scagliò addosso colpendolo al mento con un pugno. Filippo si rialzò senza proferire parola, continuando a fissare il piccolo corpo esanime. Immediatamente, fu circondato da altre sei o setti persone, pronte a pestarlo a sangue per quello che aveva fatto; e solo l’intervento di Daniele e di un edicolante della zona, che lo barricò nel suo negozio, lo salvarono da un sicuro linciaggio.
All’interno dell’edicola, il ragazzo, sentì le forze venirgli meno e cadde in ginocchio, colto anche da un improvviso crampo allo stomaco che gli fece vomitare il pollo ai peperoni, mangiato quel pomeriggio.
Daniele lo aiutò a rialzarsi e a darsi una pulita, ma lui lo allontanò con un brusco gesto del braccio e si incollò alla vetrina, continuando a osservare, con muto terrore, quella scena da incubo. Vide qualcuno coprire il corpo con un lenzuolo che subito si macchiò del suo sangue, vide l’arrivo dei genitori del bambino e vide la disperazione nei loro volti. Vide l’arrivo dei carabinieri e quello dell’ambulanza i cui lampeggianti tinsero di rosso il cielo e le case, come a ricordargli il sangue che aveva appena versato. Vide tutto questo, ma in realtà non udì nessun rumore. Lo stato di shock nel quale era piombato lo aveva isolato dal resto del mondo.
I suoi amici tentarono di parlargli, ma a Filippo, le loro parole risultavano incomprensibili, così come le domande degli agenti e dei medici.
Durante tutto questo periodo e per molto tempo dopo, l’unica cosa che il suo cervello riusciva a recepire era l’urlo di Sara. L’urlo che lo avvertiva del semaforo rosso.
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