lunedì 17 luglio 2017

Un mondo perfetto (1993)



In un mondo perfetto i bambini possono festeggiare Halloween, e il Natale, possono andare sulle montagne russe e mangiare chili di caramelle e zucchero filato, e soprattutto i bambini non vengono abbandonati dai padri, ma nel Texas del 1963, a pochi mesi dall'omicidio Kennedy le cose sono ben diverse e quando il presidente più amato dagli americani verrà assassinato, la gente si accorge che il mondo perfetto non esiste, non qui almeno.



Butch in carcere non doveva nemmeno starci, aveva passato qualche guaio, forse era un po' ribelle, ma nemmeno il peggiore; criminale lo è diventato in prigione, mettendo in dubbio anche la funzione correttiva degli istituti penitenziari. Decide così di fuggire per andare in Alaska, a trovare un padre che non ha mai conosciuto bene. Con lui ci sono il compagno di cella (lui si un vero "bad boy") e un ragazzino di otto anni, che i due sono stati costretti a prendere come ostaggio per garantirsi la fuga; presto però Butch si vede costretto a liberarsi del violento collega, continuando il viaggio solo con il piccolo Phillip.
Tra i due nasce subito una tenera amicizia, che diventa quasi un rapporto padre-figlio; in cui Butch riempie di consigli il bambino, perché si rispecchia in lui e vorrebbe che avesse un'infanzia felice, senza stupide limitazioni o proibizioni dovute ad un'assurda religione.



A inseguire la strana coppia, c'è un burbero Texas Ranger, responsabile dell'arresto di Butch quando questi era solo un ragazzo e un'affascinante e preparata criminologa, oltre a tutto lo staff del ranger Red Garnet e ad un antipatico agente dell'FBI.
Il viaggio "on the road", come spesso accade, ha valenza simbolica, qui è come una macchina del tempo, come dice lo stesso Butch a Phillip. Dietro di loro hanno il passato, dal quale stanno scappando, mentre avanti c'è l'Alaska, cioè il futuro, ma in mezzo c'è il presente ("goditi il presente" suggerisce l'uomo al suo piccolo compagno di viaggio).



E come spesso accade nei film di Eastwood, il finale è amaro, specchio che riflette il pessimismo del regista, e ritratto di una civiltà cinica, ben lontana da quell'idea di American Way of Life che aveva contribuito fino a quel momento a idealizzare il sogno americano; sogno dal quale la gente si sarebbe risvegliata un venerdì di fine novembre del 1963.



Cast in gran forma, dal "bandito" Kevin Costner, che ha dimostrato che con una solida sceneggiatura possa essere ancora un ottimo attore, a Clint Eastwood, che si ritagliato un ruolo su misura, passando per la sempre brava Laura Dern, in un ruolo tutt'altro che di contorno per finire con il piccolo T.J. Lowther, bravo ed espressivo, che suscita simpatia e tenerezza.

3 commenti:

  1. Sono d'accordo con Bara: gran film, quello che ha "sdoganato" Clint Eastwood nell'olimpo degli Autori. Commovente, asciutto, rigoroso, necessario. In perfetto stile eastwoodiano.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Già un film duro e commovente che poi è diventato il marchio di fabbrica del buon Clint...

      Elimina
  2. Tutto vero, con questo film Eastwood si è definitivamente consacrato come uno dei più grandi registi degli ultimi anni.

    RispondiElimina