giovedì 7 settembre 2017

Blu

Ancora un vecchio racconto (questo fa parte di un ideale trittico assieme ai racconti "Bianco" e "Rosso" a cui ho cambiato il finale...giusto per...Beh prima leggetelo e poi ditemi cosa ne pensate...


Da quanto tempo stava vagando in quella infinita distesa blu? Sei giorni? Forse sette… Oramai aveva perso il conto… Il sole alto nel cielo gli stava bruciando la pelle e facendo salire la febbre. Per quanto attento fosse stato, ormai le poche razioni di cibo e acqua che gli avevano lasciato, prima di abbandonarlo in mezzo all’oceano, dopo che lo avevano trovato nascosto nella stiva, stavano per finire e il processo di disidratazione era già iniziato da qualche giorno. Quanto avrebbe potuto resistere in quelle condizioni? Due giorni, forse tre se era fortunato. Ma data la situazione era chiaro che la fortuna lo aveva abbandonato già da un pezzo.
Si alzò a sedere e si guardò stancamente attorno . Sperava di poter scorgere il profilo di qualche terra, o la silhouette di una nave; al momento si sarebbe accontentato di vedere l’avvicinarsi di qualche nuvola carica di pioggia, ma attorno a lui si vedeva solo l’azzurro del cielo e il blu del mare.
Prese lo zaino che conteneva il cibo e ne tirò fuori l’ultimo pezzo di cioccolata. Rimase qualche istante a fissarla chiedendosi se fosse il caso di conservarla  per un momento di maggiore necessità, ma  rendendosi conto dell’assurdità di quel pensiero, cominciò a ridere debolmente e poi a tossire sempre più violentemente. Quando la tosse si calmò, divorò avidamente quell’ultimo residuo di cibo; almeno se fosse morto, lo avrebbe fatto con un sapore dolce in bocca…
Ormai convinto che sarebbe morto di sete ancor prima che di fame, pensò di provare a ispezionare meglio lo zaino e in una tasca all’interno, trovò un lungo pezzo di corda, un coltello e un accendino. Bene, pensò, forse la sorte stava cominciando a sorridergli, allora con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a far bollire dell’acqua per renderla potabile e con il coltello avrebbe potuto pescare qualche piccolo pesce. Ritemprato da questo pensiero ,decise di provare subito a catturare qualche preda; si legò un capo della corda ad una caviglia e l’altro lo legò al maniglione a poppa della scialuppa, quindi si tuffò in acqua.
Man mano che scendeva il blu del mare diventava sempre più scuro, poi ad un certo punto sentì una fitta alla caviglia e capì di essere arrivato al limite che la corda gli consentisse di arrivare, la visibilità sott’acqua era ancora abbastanza buona, ma decise comunque di risalire qualche metro per poter scorgere meglio le sue prede. E fu proprio mentre risaliva che vide quel grosso pesce che nuotava poco sotto la sua barca. Non sapeva che tipo di pesce fosse, ne tantomeno se  fosse velenoso, ma ormai la cosa aveva poca importanza, per cui non si pose nemmeno la questione e gli si lanciò incontro con il coltello sguainato.
Al  primo affondo procurò al pesce una lunga ferita sul lato sinistro, dall’occhio fino alla pinna caudale, ma l’animale, anziché arrendersi cominciò prima a dibattersi con forza, poi a scendere rapidamente sempre più in profondità  rendendo vano ogni tentativo di catturarlo.
Ormai sentiva il fiato venirgli meno, per cui decise di lasciar pesce e di tornare in superficie a recuperare qualche boccata d’aria. Era quasi arrivato, quando sentì un dolore così lancinante che credeva non avrebbe mai potuto provare. Un enorme squalo, probabilmente attirato dal sangue del pesce che aveva ferito, gli aveva addentato la caviglia legata alla corda, staccandogli di netto il piede che ora spuntava dalle mascelle ghignanti del pescecane. Con i polmoni che gli stavano per esplodere, la gamba che gli faceva un male atroce e il moncherino che sanguinava copiosamente, cercò di nuotare più rapidamente possibile verso la superficie,  per fuggire al temibile predatore.
 Fortunatamente riuscì a salire sulla scialuppa prima che lo squalo tentasse un nuovo attacco, cadendo immediatamente svenuto; quando riprese conoscenza si sentì ancora più debole e non gli ci volle molto a capire il perché:  tutta la prua era sporca del suo stesso sangue che continuava a uscirgli dalla caviglia mozzata e per fortuna che l’acqua salata aveva in parte rallentato la perdita di sangue, tuttavia non poteva  certo sperare di fermare l’emorragia sono con l’acqua marina. Avvolse la t-shirt attorno al moncherino  e strinse un pezzo di corda attorno alla caviglia per rallentare la circolazione, ma anche così non poteva sperare di sopravvivere a lungo. La soluzione era una sola e lui lo sapeva benissimo.
Con lo stomaco che gli si stava rivoltando, recuperò l’accendino dallo zaino e iniziò a scaldare la lama del coltello. L’operazione richiese quasi una decina di minuti, poiché la fiamma era piccola, ma poi l’arma era sufficientemente calda per portare a termine il lavoro che si era proposto. Quando affondò la lama sulle morbide carni della ferita, il mondo cominciò nuovamente a vorticare e solo grazie alla sua infinita voglia di sopravvivere, riuscì a non svenire e a finire la dolorosa operazione, dopodiché scivolò in un sonno profondo.
Si risvegliò ai primi morsi della fame, confuso, non rendendosi ben conto di dove si trovasse; e quando finalmente ricordò dove si trovava e qual era la sua situazione, inizio a piangere sommessamente.
Allora, ricordò un racconto che aveva letto qualche anno prima, L’arte di sopravvivere, di Stephen King, in cui un uomo, naufragato su un isolotto, nel profondo blu dell’oceano Pacifico, si trovava presto senza cibo e pur di sopravvivere si amputava, un po’ alla volta, gli arti inferiori per cibarsene.
Guardò il moncherino dolorante e si chiese se anche lui avrebbe trovato il coraggio di fare una cosa simile, ma al solo pensiero sentì lo stomaco rivoltarsi, ma riuscì solo a rigurgitare aria.
Gettò il coltello in acqua e si lasciò scivolare nuovamente sul fondo della scialuppa, ormai totalmente privo di forze e rassegnato a morire, ma fu proprio allora, mentre il blu del mare si confondeva con l’azzurro del cielo, prima che tutto diventasse un unico indistinto grigio, che qualcosa, nel cielo, gli fece tornare una flebile speranza. A qualche metro sopra la sua testa c'era un gabbiano che girava in tondo, come fosse alla ricerca di cibo.
Rincuorato da quella visione, convinto di essere vicino alla terra ferma, o quanto meno ad una grossa nave, scivolò serenamente in un profondo sonno, solo un istante prima di potersi accorgere che anche quel gabbiano era venuto lì per morire da solo.

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