Dani è arrivato dal Togo, passando per la Libia, e poi attraverso il mare, su una di quelle carrette del mare, che trasportano centinaia di profughi, in cerca di una via di fuga, e che in questi giorni riempiono le pagine di cronaca di quotidiani e telegiornali. Insieme a lui c’è la moglie incinta, che però muore una volta giunta in Italia, nel dare alla luce la piccola Fatou.
L’uomo non riesce a darsi pace per questo e vedrà negli occhi della figlia, la causa della morte di sua moglie. Anche quando viene inviato in un centro di accoglienza tra le montagne trentine, Dani continua a tormentarsi e aspetta soltanto di ricevere il foglio di via, per poter andare a vivere a Parigi, con l’idea di abbandonare la figlia, sperando che trovi una famiglia che si occupi di lei.
Nel frattempo Dani lavora per Pietro, falegname e apicoltore, che cerca di dare alcuni consigli al giovane immigrato ("Le cose che hanno lo stesso odore devono stare assieme"). Qui conosce anche Michele, nipote di Pietro, un biondo ragazzino di undici anni, dal carattere ribelle, che in realtà cela il dolore e il rimorso per la morte del padre, avvenuta durante un’escursione in montagna.
Il bambino soffre e spesso rivolge questa aggressività contro la madre, che ritiene responsabile assieme a lui, di quanto accaduto. In una delle scene più belle del film, assistiamo ad un incubo ricorrente di Michele, sperduto nel bosco così familiare, ma allo stesso tempo così estraneo.
Tra Dani e Michele nasce presto un’intima anche se pudica amicizia, dovuta inizialmente alla curiosità del diverso, di qualcosa di sconosciuto che però non è così diverso da se stessi. Infatti il dolore che i due protagonisti provano è qualcosa che li accomuna e che è destinato a legarli anche nel futuro. Un po’alla volta Dani, riscopre l’amore per la figlia e scopre di essersi affezionato a Michele, che a sua volta ha ritrovato una figura adulta di riferimento, che lo possa aiutare a superare il lutto e a diventare finalmente uomo.
Dopo “Io sono Li”, Andrea Segre torna a parlarci di immigrazione, ma in questo caso, invece di mostrare la problematica dal punto di vista sociale, l’espediente narrativo serve a rappresentare un percorso più intimo, che va a toccare corde sensibili. A differenza del suo film d’esordio, Segre inserisce il protagonista, in una comunità che lo accetta, in cui non trova ostacoli alla sua integrazione ;qui infatti sono la natura e il territorio circostante a rendere difficoltoso l’inserimento dell’elemento estraneo, che deve fare in conti con un ambiente tanto affascinate, quanto ostile.
Ed è proprio nella rappresentazione della montagna, tra i verdi boschi e le alte vette che il regista veneto, da il meglio di se, mostrando la sua formazione da documentarista. Complessivamente forse il film è leggermente meno riuscito di “Io sono Li”, ma in più ha una sensibilità poetica, che ne fa un film da ricordare.
Non è sbagliato fare film dove la diversità culturale è accettata: perché -nonostante salviniani e simili- è una realtà anche questa. Io lo vedo qui da me, per dire.
RispondiEliminaLo recupererò :)
Moz-
Bella recensione di Marco e bel commento del Moz.
EliminaE' un film suggestivo. Fresi è un bravo caratterista.
Ci vorrebbero ancora più film sulla diversità, allora forse avremo qualche Salvini di meno...
EliminaQualche anno fa "Rai Movie" programmò "Io Sono Li", avendo vissuto (male purtroppo) per un lungo a Chioggia apprezzai quel film anche perché mi ricordò e mi fece ritrovare atmosfere che conoscevo bene. Apprezzai quel film ritenendo anche di trovarmi davanti un ottimo regista, sono felice che abbia realizzato un altro film.
RispondiEliminaMi spiace che la tua esperienza a Chioggia non sia stata buona, è una bella cittadina, con i suoi difetti, come tutte le città, ma credo che non mi dispiacerebbe viverci...
EliminaTi consiglio di vedere anche questo film di Segre, credo ti possa piacere
Mi è del tutto sconosciuto, al contrario ho visto Io Sono Li, bel film ;)
RispondiEliminaIo li ho visti entrambi al cinema, soprattutto perché parla di terre a me care...
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