Dopo il primo incontro amoroso con il suo ragazzo, Jay si risveglia legata ad una sedia. Lui le spiega che le ha trasmesso un virus, una maledizione, per cui sarà perseguitata da misteriose figure (a volte sconosciuti, altre persone familiari) che tenteranno di ucciderla. L’unico modo per liberarsi da questa condanna è andare a letto con qualcuno, passando a lui la dannazione.
“It Follows”, esso ti segue, già il titolo è qualcosa di geniale creando un alone di mistero attorno a questa cosa, a questa entità malefica che perseguita la protagonista del film e già dalla prima scena, che urla “Capenter” a pieni polmoni, capisci che siamo di fronte ad un prodotto di ottima levatura, perché si David Robert Mitchell, si ispira al regista di “Halloween”, ma lo fa con intelligenza , senza scopiazzare, ma ricreando a modo suo le ambientazioni in cui si muoveva Michael Myers.
Così pur avvicinandosi agli horror degli anni 70 e 80, “It Follows” ne è anche enormemente distante: le scene sanguinolente si contano sulle punte di tre dita, non ci sono rumori improvvisi o mostri che appaiono da dietro l’angolo, ma questo film riesce a essere altrettanto angosciante e spaventoso, grazie alla continua minaccia, che pur camminando lentamente, risulta inarrestabile. Il regista si muove molto bene dietro alla macchina da presa creando ottime inquadrature che scendono in morbosi dettagli. Perfetta anche la fotografia, che rispecchia l’animo dei protagonisti impauriti e malinconici e splendida la colonna sonora, che pure richiama il cinema Carpenteriano.
Il film non è certo privo di difetti, soprattutto di sceneggiatura, basti pensare alla scena della piscina che risulta un po’ forzata, e in altre scene i personaggi si comportano in maniera poco logica, ma stiamo pur sempre parlando di un horror e in ogni caso, in un prodotto del genere, qualche sbavatura si perdona.
Per quanto riguarda i significati, quello più evidente è quello di giovani abbandonati a se stessi e alle loro paure, in cui gli adulti sono assenti, se non peggio, nemici (l’entità nella già citata scena della piscina ne è une esempio). Mitchell invece si mantiene più vago sulla malattia (il male del secolo non viene mai nominato), non ci dice da dove proviene, non ci spiega chi sono questi esseri, non è ben chiaro nemmeno se voglia metterci in guardia dalla promiscuità sessuale, come faceva una vecchia pubblicità degli anni 80 e strizzando l’occhio al Cronenberg de “Il demone sotto la pelle” (e comunque ai teen-horror in generale in cui una regola non scritta prevede che chi cede al peccato della lussuria non arrivi vivo a fine film),o invece ci spinga ad avere più avventure possibili, dato che è l’unico modo di togliere la maledizione è passarla ad un’altra persona attraverso un rapporto sessuale.
E così si arriva al bellissimo finale, aperto, ma per nulla consolatorio, un finale che ci lascia quella sensazione di disagio e inquietudine che fanno di questo film, uno dei migliori prodotti di genere dell’anno.