giovedì 28 febbraio 2019

Dietro la maschera - A carnevale ogni recensione vale: Spider-man la lunga genesi

Era il febbraio 1981 e due bambini di cinque e tre anni, incantati dalla serie animata, andata in onda in Italia a partire dal 1977,  su SuperGulp!, vollero vestirsi da Uomo Ragno e grazie all'abilità di una nonna camiciaia e a due mascheroni di plastica, il loro desiderio divenne realtà.



Molti anni e molti carnevali dopo, il solito gruppo di amici blogger, ha deciso di festeggiare la festa più divertente e colorata dell'anno parlando di personaggi mascherati, che siano divertenti, spaventosi, curiosi o affascinanti. Proiprio ricordando quello che fu probabilmente il mio primo costume di carnevale, ho diciso di parlare di Spider-Man, anche se la mia conoscenza di Spidy finiva a quel cartone animato o a qualche storia ne "Il corriere dei piccoli", pubblicate proprio nel 1981, ma le cui storie erano fatte da immagini prese dalla serie animata, perciò poco c'entravano le avventure originali del fumetto. Le mie impressioni dunque, si basano unicamente sui film in se e poco o nulla sulla verosimiglianza con il personaggio creato da Stan Lee.



Per raccontare la genesi del film di Sam Raimi, che ha dato grande rilancio al genere dei cinecomics, bisogna però partire da molto più lontano.
La prima versione live action di Spider-Man fu la serie tv, trasmessa dalla CBS, nel 1977, da cui furono ricavati anche tre film per la tv, ma nonostante un buon successo, la programmazione fu interrotta dopo quindici episodi, a causa delle forti differenze dalle storie originali (come la mancanza dei nemici storici), degli scarsi effetti speciali e dei costi di produzione sempre più elevati.

Ciao, sono il tuo amichevole Spider-Man di quartiere

Altri tentativi di riportare al successo cinematografico il supereroe della Marvel si interruppero dopo il forte insuccesso di Superman III e nemmeno quando, nel 1985, si propose Roger Corman per realizzare un nuovo adattamento, fu trovato un accordo.
Sempre nel 1985, i diritti cinematografici di Spider-Man andarono alla Canon Films, i cui vertici scelsero come possibile regista Tobe Hooper con Leslie Stevens come sceneggiatore, ma la loro idea fu immediatamente scartata, in quanto raccontava di un Peter Parker trasformato in un terribile uomo-tarantola, da un bombardamento di radiazioni.

1977: il primo Spider-Man live action

La Canon ci riprovò affidando il progetto al regista Joseph Zito (Rombo di tuono, Venerdì 13  parte IV...) e cominciarono a circolare i primi nomi per il cast, tra cui Tom Cruise, Bob Hoskins e addirittura attori del calibro di Peter Cushing, Lauren Bacall e Katharine Hepburn e con lo stesso Stan Lee che avrebbe dovuto interpretare J. Jonah Jameson. Ancora una volta, però, le vicende economico-finanziarie della Cannon, fecero naufragare il progetto. Altri sceneggiatori e registi, tra cui il nostro Ruggero Deodato, furono chiamati per provare a fare un film low budget, ma niente andò mai in porto.

Stan Lee vede se stesso nei panni di J. Jonah Jameson

Dopo il fallimento della Cannon, che fu acquisita dalla francese Pathé, i due soci principali si separarono e uno restò con la Pathé mentre l'altro andò alla 21st Century Film Corporation a cui propose la distribuzione dei film sull'Uomo Ragno. Recuperata la sceneggiatura del 1985 ed eliminando i tagli voluti in precedenza, la 21st fissò per il 1989 l'inizio della produzione della nuova pellicola, affidando la regia da Stephen Herek (Critters, gli extraroditori).

Anche il grande Roger Corman aveva pensato un adattamento dell' uomo aracnide

Nel 1991, James Cameron, grande appassionato del fumetto, propose una sua sceneggiatura alla Carolco Pictures, che colpita dal suo lavoro accettò di finanziare il film. Cameron voleva raccontare le origini del personaggio, ma inserì qualche piccola modifica, come il fatto che grazie alla mutazione biologica dovuta al morso del ragno radioattivo, Peter Parker sparasse le ragnatele direttamente dai polsi, senza l'aiuto di mezzi meccanici, particolare che rimase anche nel film di Raimi. Inoltre il regista canadese, propose come protagonista un giovane Leonardo DiCaprio.
Quando la Carolco andò in bancarotta, Cameron provò, senza successo, a convincere la 20th Century Fox e infine decise di abbandonare il progetto.

Molte delle idee di James Cameron furono poi tenute per il film diretto da Raimi

Poco tempo dopo, la Columbia Pictures, associata della Sony, acquistò i diritti sul personaggio, oltre a tutte le sceneggiature proposte fino a quel momento. Cris Columbus, Tim Burton e David Fincher furono altri registi considerati per dirigere la pellicola, ma alla fine fu scelto Sam Raimi che assieme agli sceneggiatori David Koepp prima e Scott Rosenberg poi, finalmente riportarono sul grande schermo, dopo venticinque anni di tentativi, Spider-Man.

Spider-Man gioca con il suo caro amico Goblin

Come protagonista fu scelto un quasi sconosciuto Toby Maguire, voluto proprio da Raimi, anche se la Columbia era piuttosto scettica. L'attore tuttavia riuscì a convincere i produttori e firmò anche per i due possibili sequel. Solo qualche fan del fumetto non è del tutto entusiasta della prova di Maguire, soprattutto quando incarna il ruolo di Peter Parker, perché ritenuto troppo fragile e insicuro rispetto al suo corrispettivo cartaceo.
Kirstern Dunst decise di partecipare al progetto proprio per la presenza del giovane Toby Maguire, mentre per il ruolo del Goblin, prima di assumere Willem Dafoe, furono contattati Jim Carrey, Nicolas Cage e John Malkovich.
James Franco ottenne il ruolo di Harry Osborn dopo essere stato scartato per quello del protagonista.

Tobey chi?
Il film ebbe subito un enorme successo, tanto da generare due sequel, di quasi uguale successo oltre alla possibilità di proseguire la saga con un quarto e un quinto capitolo.
Oltre ad una sceneggiatura avvincente, il film deve la sua fama anche agli spettacolari effetti speciali, guidati da John Dykstra. In alcune scene di lotta tra Spider-Man e il Goblin, i due furono dovuti essere ripresi separatamente poiché a causa delle diverse cromaticità dei costumi, necessitavano di differenti screen di fondo.
Inutile parlare della bella colonna sonora, firmata dal grande Danny Elfman, pupillo sia di Raimi che di Tim Burton. Va tuttavia segnalata la presenza della traccia della sigla della serie animata del 1967.

E ora, prima di salutarvi, un bacio a testa in giù
Purtroppo, a causa di impegni vari, non ho avuto modo di vedere, né al cinema, né a casa, gli Spider-Man successivi alla trilogia di Raimi, ma cercherò di rimediare appena possibile.
Per ora dunque è tutto, ma non dimenticate di passare nei prossimi giorni a vedere quale maschera hanno scelto di scoprire i miei amici blogger che trovate qui di seguito:






sabato 16 febbraio 2019

La guerra dei bottoni (1962)

Impegni personali e imprevisti vari mi hanno di nuovo tenuto lontano dai miei doveri di blogger per cui prima di lasciar passare ancora più tempo senza aggiornamenti, vado di nuovo a pescare tra le vecchie recensioni.




Tra i paesi di Veltrans e Longeverne, nella campagna francese, c’è stata a lungo una forte rivalità, ma se ora gli adulti hanno imparato ad andare d’accordo tra di loro, non è così per i ragazzini, che continuano a farsi la guerra, con spade di legno, sassi e botte da orbi. Quando una delle due bande riesce a fare un prigioniero, lo priva di bottoni, fibbie, cinture e lacci delle scarpe, costringendo il malcapitato a tornare a casa, reggendo i pantaloni con le mani e dunque a subire il rimprovero dei genitori oltre ad un’imbarazzante umiliazione.


Robert, il capo dei caimani , per evitare le punizioni paterne, che inoltre lo minaccia di mandarlo in collegio, si inventa di combattere nudi, ma con l’arrivo dei primi freddi questa tattica diventa improponibile. Il gruppo pensa così di comprare bottoni e cinghie, che assieme al bottino di guerra, verrà usato per ricucire i vestiti danneggiati. Un traditore però avverte Zazzera, capo dei falchi, su dove si nasconda il nascondiglio segreto, vanificando così il lavoro dei compagni. Il finale vede Robert arrivare al collegio, dove incontra Zazzera, anche lui spedito li dai genitori. I due ragazzi si scoprono così più simili di quanto avessero pensato e diventano subito amici.



Sulla falsa riga dei “I ragazzi della via Pal”, Yves Robert, mette in scena questa commedia vivace e spigliata, tratta dal romanzo omonimo di Louis Pergaud, più volte portato sul grande schermo, anche se questa rimane quella più conosciuta e riuscita. Seppur metafora del mondo degli adulti (e in particolare sulla guerra) e su come questo viene percepito dai più piccoli, la battaglia tra le due fazioni non ha nulla di veramente aggressivo, anche se combattuta con armi potenzialmente pericolose come spade di legno o sassi, ma ha più un valore ludico, un gioco ad imitare gli adulti che si fanno (realmente) la guerra.



Tuttavia in questo conflitto, i bambini si dimostrano, ancora una volta, più sensibili dei grandi, come nella scena in cui decidono una temporanea tregua per soccorrere assieme un coniglio ferito. La stessa sensibilità si nota nei discorsi che i ragazzini fanno nell’organizzarsi per lo scontro, che con serietà parlano di ricchezza e povertà, repubblica e monarchia,  uguaglianza e ingiustizia, argomenti difficili e delicati, ma che loro affrontano con ingenua autorevolezza.



Gli adulti, in questo film, sono personaggi di contorno, portatori unicamente di una morale punitiva, dimenticandosi probabilmente, di essere stati ragazzini a loro volta e soprattutto che la rivalità tra le due bande è dovuta a loro.
Yves Robert dirige un film dinamico e divertente, privo o quasi di tempi morti, che ancora oggi si fa vedere con piacere. Bravissimi i giovani protagonisti, simpatici e genuini nella loro naturalezza.

giovedì 7 febbraio 2019

Red Ronnie vs Queen: verità e ipocrisie

Qualche giorno fa Red Ronnie faceva una diretta, e in seguito rilasciava un video, in cui sosteneva di non aver stima dei Queen e in particolare di Freddie Mercury, poiché questi parteciparono ad alcuni concerti a Sun City, città simbolo dell'apharteid e, per questo, di non averli mai voluti intervistare.
Premesso che il buon Red ha una cultura musicale enorme e che ha diritto di avere ed esprimere le sue opinioni liberamente, va anche detto che stavolta ha un po' pisciato fuori dal vaso per una serie di contraddizioni e soprattutto per un bella dose di ipocrisia.
Ronnie esordisce dicendo che non ha MAI voluto intervistare i Queen, per poi correggersi al volo, dicendo che fino al momento della loro partecipazione a Sanremo, nel 1984, li avrebbe anche intervistati, ma che non riuscì farlo, e ciò contrasta con quanto dice poco dopo, con non poca superbia, che al tempo poteva, fatte poche eccezioni, chiedere interviste a chi voleva.



Partecipare ai concerti a Sun City fu effettivamente una mossa sbagliata da parte dei Queen e questo nessuno lo nega, come nessuno nega che tardive e poco convincenti furono le giustificazioni della band ("se dovessimo scegliere dove andare a suonare in base al governo che c'è in quel paese, sarebbero davvero pochi i posti in cui potremo farlo"), ma quello che non piace di quanto detto da Red Ronnie è che non usa gli stessi toni per gli altri artisti che hanno deciso di suonare nella capitale del divertimento bianco in Sud Africa, trasgredendo al boicottaggio imposto dalle Nazioni Unite (tra l'altro, a differenza di quanto dice, non furono solo quattro gli artisti, ma ben di più) e soprattutto l'ipocrisia che dimostra, scordandosi che nel 1986 ha intervistato Elton John , che fu uno di quelli che a Sun City ci suonarono e ben un anno prima dei Queen.
Per quanto riguarda il Live Aid, da quanto ne so, Bob Geldof li voleva eccome i Queen e che spinse lui il loro manager a farli partecipare, dato che Freddie, arrabbiato per non essere stato chiamato per il Band Aid, non avrebbe voluto esserci.
Assurda anche l'accusa di aver fatto la prestazione migliore di tutti al Live Aid solo perché la band aveva avuto modo di provare i giorni prima. Beh, i Queen pagarono per quelle prove ed era nel loro diritto farlo.



Gabriele Ansaloni, questo il vero nome di Ronnie, dice di parlare per conoscenze dirette, salvo poi uscirsene con dei "sentito dire", "a quanto pare" eccetera, eccetera, dunque non si dimostra molto professionale, né migliore di quei fan dei Queen che si sono gettati a difesa dei loro beniamini con poca obbiettività.
Che Mercury non fosse una persona facile con cui avere a che fare è risaputo, come è risaputo che amasse la bella vita e il denaro, ma di qui a dipingerlo come un essere senza alcuna morale, ce ne passa.
Tutta la parte in cui fa riferimento a feste trasgressive con largo uso di droghe è poi ridicola: che mi trovi un artista di quel calibro che non abbia mai fatto uso di stupefacenti o organizzato party trasgressivi (ad esempio Keith Richards o Jimi Hendrix che lui tanto adora).




Va poi ricordato che il buon Red è un caro amico di Vasco Rossi, che in quanto a morigeratezza, non è certo uno stinco di santo e lo dice uno a cui Vasco Rossi piace.
Gli va dato atto che durante tutto il video, afferma più volte, che i Queen hanno fatto ottima musica, ma dicendo che in seguito alle vicende di Sun City, non ha alcuna stima di Freddie Mercucy e per questo di non averlo voluto intervistare, dimostra che ipocritamente non ha saputo distinguere l'artista dall'uomo e che, almeno in questo caso, ha dimostrato di valere poco come giornalista.

lunedì 4 febbraio 2019

La prima neve (2013)

In un periodo in cui l'immigrazione è al centro delle discussioni politiche e non, vi ripropongo una vecchia recensione di un film che affronta, a modo suo, tale problematica



Dani è arrivato dal Togo, passando per la Libia, e poi attraverso il mare, su una di quelle carrette del mare, che trasportano centinaia di profughi, in cerca di una via di fuga, e che in questi giorni riempiono le pagine di cronaca di quotidiani e telegiornali. Insieme a lui c’è la moglie incinta, che però muore una volta giunta in Italia, nel dare alla luce la piccola Fatou.
L’uomo non riesce a darsi pace per questo e vedrà negli occhi della figlia, la causa della morte di sua moglie. Anche quando viene inviato in un centro di accoglienza tra le montagne trentine, Dani continua a tormentarsi e aspetta soltanto di ricevere il foglio di via, per poter andare a vivere a Parigi, con l’idea di abbandonare la figlia, sperando che trovi una famiglia che si occupi di lei.



Nel frattempo Dani lavora per Pietro, falegname e apicoltore, che cerca di dare alcuni consigli al giovane immigrato ("Le cose che hanno lo stesso odore devono stare assieme"). Qui conosce anche Michele, nipote di Pietro, un biondo ragazzino di undici anni, dal carattere ribelle, che in realtà cela il dolore e il rimorso per la morte del padre, avvenuta durante un’escursione in montagna.
Il bambino soffre e spesso rivolge questa aggressività contro la madre, che ritiene responsabile assieme a lui, di quanto accaduto. In una delle scene più belle del film, assistiamo ad un incubo ricorrente di Michele, sperduto nel bosco così familiare, ma allo stesso tempo così estraneo.



Tra Dani e Michele nasce presto un’intima anche se pudica amicizia, dovuta inizialmente alla curiosità del diverso, di qualcosa di sconosciuto che però non è così diverso da se stessi. Infatti il dolore che i due protagonisti provano è qualcosa che li accomuna e che è destinato a legarli anche nel futuro. Un po’alla volta Dani, riscopre l’amore per la figlia e scopre di essersi affezionato a Michele, che a sua volta ha ritrovato una figura adulta di riferimento, che lo possa aiutare a superare il lutto e a diventare finalmente uomo.



Dopo “Io sono Li”, Andrea Segre torna a parlarci di immigrazione, ma in questo caso, invece di mostrare la problematica dal punto di vista sociale, l’espediente narrativo serve a rappresentare un percorso più intimo, che va a toccare corde sensibili. A differenza del suo film d’esordio, Segre inserisce il protagonista, in una comunità che lo accetta, in cui non trova ostacoli alla sua integrazione ;qui infatti sono la natura e il territorio circostante a rendere difficoltoso l’inserimento dell’elemento estraneo, che deve fare in conti con un ambiente tanto affascinate, quanto ostile.



Ed è proprio nella rappresentazione della montagna, tra i verdi boschi e le alte vette che il regista veneto, da il meglio di se, mostrando la sua formazione da documentarista. Complessivamente forse il film è leggermente meno riuscito di “Io sono Li”, ma in più ha una sensibilità poetica, che ne fa un film da ricordare.