mercoledì 25 dicembre 2019

Caro Babbo Natale ti scrivo




Caro Babbo Natale,
probabilmente l'ultima volta che ti ho scritto, la mia età anagrafica non aveva raggiunto le due cifre, ma ora, dopo tanto tempo, ho pensato fosse tornato il momento di riprendere carta e penna o meglio, tastiera e video e inviarti questa lettera che hai tra le mani.
Buffo, no? A quarantaquattro anni dovrei sapere che tu non esisti, ma poi, chi lo dice che sia così?
In realtà io credo ancora in te, forse perché ho ancora, anche se un po' più nascosto, uno spirito fanciullesco; credo nella magia, nei sogni e nelle favole.
Del resto se la religione ci insegna a credere in un Dio invisibile e onnipotente in grado di ridare la vista ad un cieco e di trasformare l'acqua in vino; allora perché non credere in un vecchio corpulento che porta doni e gioia in tutto in ogni angolo della terra?
Okay, okay, se tirassi fuori il mio lato cinico e realista dovrei avere seri dubbi sull'esistenza di entrambi, dato come stanno andando le cose in giro per il mondo, ma non è questo il momento.
Parliamo invece dell'anno che sta per finire e alla fine ti lascerò le mie richieste per il prossimo.
Com'è normale che sia, quest'anno è stato fatto di alti e bassi: la prima cosa da ricordare è sicuramente il matrimonio con Chiara; l'organizzazione è stato piuttosto impegnativa e faticosa, ma alla fine la festa è riuscita benissimo, è stata un splendida giornata e credo che siamo stati tutti, sposi e invitati, molto contenti. E di questo ti ringrazio.
In tutto ciò, la nota negativa è che purtroppo, per ora, la nostra continua a essere una relazione a distanza e questo ferisce entrambi.
Le bimbe continuano a crescere, ora camminano (abbastanza) bene entrambe, anzi corrono, si arrampicano e bisogna avere mille occhi per stare attenti che non si facciano male. Non parlano ancora bene, ma conoscono un sacco di paroline e tante continuano a impararne. Vederle fare progressi ogni giorno è una cosa meravigliosa.
In generale la salute va bene, c'è stata qualche piccola magagna, ma al momento l'abbiamo superata.
In conclusione posso ritenermi soddisfatto di quest'anno, anche se non ho ricevuto tutto quello che speravo e nonostante un po' di stanchezza, alla fine non posso che ringraziarti per tutte le cose positive che ci sono state.
Passiamo ora alle richieste di quest'anno (devi decidere tu se sono meritevole di riceverle oppure no, probabilmente a volte avrei potuto essere un po più bravo, ma altre sono stato decisamente buono dunque le cose si compensano, giusto?): come sempre ti chiedo salute e serenità per la me, la mia famiglia e le persone a me care. Lo so, è una cosa che tutti ti chiedono, ma se non ci sono quelle, non avrebbe senso che ti chiedessi altre cose, non trovi?
Ti chiedo poi un lavoro a Bologna, così posso trasferirmi stabilmente dalla mia famiglia. Durante la settimana mi mancano tremendamente tutti e conto sempre i giorni che mancano per rivederli.
Se poi volessi farmi vincere una piccola somma di denaro, la cosa non mi farebbe schifo. Lo so, è una richiesta decisamente venale, ma un aiuto economico andrebbe a rafforzare, almeno temporaneamente, quella serenità di cui sopra.
Ho come l'impressione di star dimenticando di scriverti qualcosa, ma forse era una bugia...
Il mio regalo per te è questa canzone che ti lascio qui sotto, spero tu gradisca. Buon Natale!



mercoledì 11 dicembre 2019

Cattivi bambini

I bambini, simbolo di candore e purezza per antonomasia.
Ma non sempre le cose stanno così come sembra e come nella vita, anche il cinema ci ha insegnato che i bambini possono essere cattivi, disturbati e pericolosi e quando ci capita di incontrarli rimaniamo interdetti e non sappiamo come comportarci.
Ecco dunque dieci titoli (di alcuni di questi ne ho già parlato in post singoli e più completi) in cui il male ha assunto le sembianze della dolcezza e dell'innocenza:

IL VILLAGGIO DEI DANNATI (1960)

Un villaggio inglese rimane improvvisamente isolato per alcune ore; tutti i suoi abitanti cadono in una sorta di torpore perdendo i sensi e ciò accade anche a chiunque tenti di avvicinarsi  al paese.
Quando lo strano fenomeno è passato, si scopre che tutte le donne fertili sono incinte, anche quelle caste o senza compagno.
Alla nascita tutti i bambini mostrano subito caratteristiche fisiche e intellettive simili tra loro, hanno un forte senso del gruppo, isolandosi dagli altri bambini, e tendono a nascondere i propri sentimenti.
Inoltre questi dimostrano di avere delle straordinarie capacità mentali con le quali leggono la mente degli altri e influenzano l'altrui volontà.
Si scopre così che in realtà questi bambini non sono altro che una nuova razza aliena e che con i loro poteri leggono e controllano la mente umana e causando il suicidio di coloro che li minacciano.
Quando si viene a sapere che in altre parti del mondo sono avvenuti fatti simili e che ovunque i bambini sono stati uccisi, gli abitanti del villaggio affidano i ragazzi al padre di uno di loro, ma quando costui capisce la pericolosità di questi esseri, li attira in una trappola.
Film di fantascienza, tratto dal romanzo "I figli dell'invasione" (1957) di John Wyndham, ha avuto un sequel "La stirpe dei dannati" (1963) e un remake nel 1995 diretto da John Carpenter.
Costato solo 300.000 dollari, la pellicola ne ha incassati più di 5 milioni. Girato con mestiere da Wolf Rilla il film riesce a creare una tensione sempre più crescente, con vaghi riferimenti al nazismo ebbe un grosso successo grazie anche al periodo in cui uscì, dato che in quegli anni si cominciava a parlare della pillola anticoncezionale e di studio sui poteri ESP.
Un piccolo capolavoro.





IL PRESAGIO (1976)

Il figlio di Robert Thorn, diplomatico statunitense a Roma, nasce morto alle 6 del 6 giugno. Pur di alleviare le sofferenze della moglie, l'uomo accetta la proposta di alcuni prelati e decide di sostituire il bambino con un altro nato nello stesso momento, ma la cui madre è morta dandolo alla luce.
Sei anni più tardi, nel giorno del compleanno del piccolo Demian, cominciano a verificarsi una serie di sanguinosi eventi che porteranno alla morte di diverse persone, tra cui la stessa madre del bambino, rimasta nuovamente incinta e un prete che conosceva la verità sul passato di Demian e che stava tentando di avvertire Robert su questi orribili segreti.
Indagando su quei terribili eventi, Robert scopre che Demian è in realtà l'Anticristo, il figlio del demonio. Inizialmente titubante e restio ad uccidere un bambino, in seguito ad altre morti ed incidenti, l'uomo capisce che l'unica soluzione è sopprimere il proprio figlio, ma quando è sul punto di pugnalarlo viene ucciso da alcuni poliziotti.
Richard Donner dirige un film forse non perfetto, ma che riesce a disturbare e inquietare ancora oggi.
La pellicola ha avuto tre sequel, un remake e una serie televisiva.
Il film è anche noto per alcuni strani incidenti avvenuti dentro e fuori dal set durante la lavorazione del film, tanto che c'è chi crede sia un film maledetto.




GRANO ROSSO SANGUE (1984)

Una coppia in crisi sta attraversando le strade del Nebraska e per errore investe un ragazzo, che in realtà risulterà essere morto prima dell'impatto con la loro auto. I due si metteranno in cerca di aiuto e giungeranno nella cittadina di Gatlin che però risulterà deserta. Presto la coppia scoprirà che tutti gli adulti sono stati sterminati dai ragazzini del luogo e che loro sono le prossime vittime disegnate come sacrificio di un fantomatico dio chiamato "Colui che cammina nel grano".
Tratto dal racconto "I figli del grano" contenuto nella raccolta di racconti "A volte ritornano", la pellicola ha avuto un enorme successo di pubblico, nonostante le critiche mosse dallo stesso King e dalla maggior parte della critica.
Tale successo ha portato a nove tra sequel e remake.
Nonostante le numerose differenze dal racconto, il film risulta essere un godibile e interessante horror tipico degli anni 80.
Va ricordato che la protagonista femminile è Linda Hamilton che sarebbe divenuta celebre poco tempo più tardi grazie alla saga di Terminator.




CHI E' L'ALTRO? (1972)

Il piccolo Niles vive con la madre e con la nonna in una fattoria del Connecticut e proprio quest'ultima insegna al bambino a usare le sue facoltà per imparare a identificarsi con le creature della natura, animali e umane. Tuttavia il ragazzino rifiuta di credere alla morte del proprio gemello e a lui attribuisce la colpa di alcuni omicidi avvenuti nei dintorni. In realtà Niles nasconde un orribile segreto.
Film diretto molto bene da Robert Mulligan ("Il buio oltre la siepe") fa dell'ambiguità la sua forza e che nonostante qualche alto e basso, ti tiene col fiato sospeso fino al sorprendente finale.
Per certi versi (il rapporto con la natura e la ruralità, la serie di omicidi inspiegabili...) il film ricorda il più recente "Riflessi sulla pelle", altro film in cui troviamo un bambino dalla personalità disturbata.




L'INNOCENZA DEL DIAVOLO  (1993)

Mark (Elijah Wood) ha recentemente perso la madre, morta a causa di un cancro e vive con difficoltà questo lutto.
A causa di un viaggio d'affari, il padre deve mandare Mark dagli zii Wallace e Susan i quali hanno due figli: Henry (Macaulay Culkin) della stessa età di Mark e la piccola Connie. Inoltre hanno da poco perso il figlio più piccolo per un incidente domestico.
Ben presto Mark si renderà conto che il cugino, sotto l'aspetto da bravo ragazzino, nasconde in realtà un animo malvagio, sociopatico e violento, ma nonostante i numerosi tentativi di smascherarlo, nessuno gli crederà. Soltanto alla fine Susan scoprirà la vera natura di Henry e in uno scontro sulla scogliera sarà costretta a scegliere se salvare Mark o il proprio figlio.
Lontano dall'essere un capolavoro, il film risulta interessante per almeno un paio di motivi: il dilemma morale del finale, in cui un genitore deve scegliere se salvare il proprio figlio, che sa essere malvagio e responsabile di atti orribili, ma al verso il quale prova comunque un sincero amore, oppure il nipote buono, ma per il quale non sente lo stesso tipo di affetto; e per il fatto che lo psicotico Henry sia stato interpretato da Macaulay Culkin divenuto celebre per il ruolo del pestifero, ma simpativo Kevin McCallister nei due "Mamma ho perso l'aereo"




IL SIGNORE DELLE MOSCHE (1963)

In fuga dalla città in guerra, un aereo che trasporta alcuni ragazzini precipita nei pressi di un'isola deserta. In attesa dell'arrivo dei soccorsi, i piccoli naufraghi tenteranno di sopravvivere in quell'ambiente ostile, ma se inizialmente le cose sembrano funzionare andare per il meglio, presto il gruppo si spaccherà in due e le ostilità tra le due fazioni porterà a scontri sempre più duri e cruenti e solo l'arrivo dei soccorsi fermerà quello che è diventato un gioco al massacro.
Tratto dall'omonimo romanzo di William Golding, il film ne ricalca fedelmente lo spirito mettendo in scena una sorta di allegoria sulla malvagità umana, dato che l'autore pensava che l'uomo è cattivo per natura e a dimostrazione della sua tesi ha scelto, per il suo romanzo, dei bambini come protagonisti, solitamente simbolo di innocenza e purezza, ma che messi nel giusto contesto sono capacità della stessa malvagità di un adulto il cui spirito è stato guastato dal tempo e dalla società.




LA RAGAZZA DELLA PORTA ACCANTO (2007)

David ha dodici anni e passa le sue giornata a giocare con gli amici o in riva al fiume dove un giorno incontra la sedicenne Meg che assieme alla sorella minore da qualche giorno si è trasferita, dopo essere rimasta orfana, da una loro lontana parente, vicina di casa della famiglia di David.
Ben presto Ruth, questo il nome della donna, rivelerà tutto il suo sadismo nei confronti delle due sorelle, prima con qualche semplice umiliazione, poi riservando loro violenze fisiche e psicologiche, violenze alle quali partecipano anche i figli della donna e altri ragazzini del vicinato. David sarà testimone muto di quei segreti diviso tra il timore reverenziale verso la donna e il senso di colpa nei confronti di Meg.
Tratto dal romanzo omonimo di Jack Ketchum che si ispira a sua volta a fatti realmente accaduti, il film è uno spaccato di quell'America rurale e chiusa da cui ogni tanto emergono sanguinosi fatti di cronaca. Un film è duro e atroce proprio perché, in questo caso, l'orrore non viene da vampiri o lupi mannari, ma da veri esseri umani che possono essere i vicini di casa di chiunque di noi e tra questi ci sono anche dei ragazzini.




IL GIGLIO NERO (1956)

Rhoda è una graziosa bambina di otto anni, sempre educata e dall'aspetto impeccabile, ma in realtà nasconde un terribile segreto. Dopo essere tornata a casa da una festa campestre in cui è morto un suo compagno di scuola, la bambina non dimostra nessun turbamento e nessuna forma di empatia, anzi sembra aver trovato la cosa emozionante. Preoccupata dalla scoperta di questo lato del carattere di sua figlia, la madre tenterà di scoprire qualcosa di più su quanto accaduto, ma finirà con l'accorgersi di quanto, in realà, sia perversa Rhoda.
All'uscita nelle sale, questo film sorprese e sconvolse un'America perbenista, mettendola di fronte a scomode verità, come il fatto che il male può nascondersi ovunque, anche dietro al sorriso innocente di un bambino.
La pellicola ha un taglio teatrale (difatti è tratta da una pièce teatrale a sua volta ispirata al romanzo "The Bad Seed" di William March) ed è ambientata quasi interamente in unica location e funziona soprattutto alla bravura degli attori e ai dialoghi che devono raccontare quello che il regista non ci mostra direttamente.




MA COME SI PUO' UCCIDERE UN BAMBINO? (1976)

Tom ed Evelyn sono una coppia di turisti inglesi in vacanza nel Mediterraneo che decidono di visitare l'isola di Almanzora. Al loro arrivo però notano qualcosa di strano e sinistro, in giro non c'è nessun adulto e il villaggio sembra essere completamente deserto. In giro si vedono soltanto bambini che li guardano in maniera sospetta. I due protagonisti scopriranno così che, forse in preda ad un attacco di follia, i bambini si sono ribellati agli adulti uccidendoli tutti e facendo scempio dei cadaveri.
Salvarsi non sarà facile come sembra perché per quanto malvagio e pericoloso "ma come si può uccidere un bambino?"
Horror iberico girato completamente alla luce del sole che crea disagio e disturbo per il tipo di messaggio che vuole mandare.
La pellicola si apre con immagini di repertorio di poveri villaggi africani e delle guerre nel sud est asiatico così a mostrarci come l'uomo sia stato in grado di fare del male agli esseri più indifesi e innocenti e così il regista ci mostra una sorta di vendetta dei bambini nei confronti degli adulti, ma nonostante i cattivi siano i bambini, non li vediamo mai come degli esseri puramente malvagi e sanguinari, ma come dei ragazzini intenti a giocare e divertirsi.





GOODNIGHT MOMMY (2014)

Lukas ed Elias sono due gemellini di dieci anni che vivono in splendida quanto glaciale villa nella campagna austriaca. Qui passano le giornate a rincorrersi tra i filari di grano, facendo il bagno in un bel laghetto o facendo la lotta tra i verdi campi davanti casa. Quando finalmente la loro madre ritorna a casa, dopo un'operazione di chirurgia estetica, con il volto interamente coperto di bende, i due bambini sospettano che in realtà lei non sia chi dice di essere, ma all'interno del piccolo nucleo famigliare ci sono altri segreti che porteranno ad una spirarle di follia e violenza, fino al drammatico quanto inevitabile finale.
Il cinema dei due registi, di cui anche Michael Haneke è uno degli esponenti, è fatto di lunghe attese che poi esplodono in una violenza sempre più forte e disturbante. In questo caso c'è una prima fase in cui sembra di assistere ad una specie di caccia al topo, ma con i ruoli che costantemente si invertono per poi passare, man mano che ci si avvia verso il finale, ad una fase più violenta in cui nulla è risparmiato.
Bravi i due piccoli protagonisti che scelti per il loro aspetto innocente e rassicurante, risultano essere inquietanti ed emanare un'aura di mistero e tensione.



Si conclude qui il viaggio tra i film che vedono protagonisti bambini cattivi e perversi, ma dato che sul tema sono state girate tante altre pellicole, appena possibile tornerò sull'argomento con nuovi titoli.









mercoledì 20 novembre 2019

Essere blogger alle soglie del 2020

Ringrazio l'amico Pirkaf del blog Frammenti e Tormenti per l'invito a partecipare a questo nuovo tag a cui rispondo, e di questo mi scuso, con notevole ritardo.
Ma ora cominciamo:




QUALI SONO LE RAGIONI CHE TI HANNO SPINTO AD APRIRE UN BLOG?

Semplicemente perché mi piace scrivere. Come ho già avuto modo di raccontare, questo blog ha origini lontane; prima c'è stato Spritz.it che usavo più che altro per cazzeggiare, poi sono passato a Splinder che usavo come un diario personale, di cui mi piacerebbe recuperare le folli storie che mi capitavano in albergo a quei tempi, infine, dopo un lungo silenzio dovuto alla mia pigrizia e alla chiusura della piattaforma, ho deciso di approdare qui su Blogger, cercando di scrivere in maniera più tematica, ma concedendomi qualche off-topic e qualche sfogo personale.
Come dice il sottotitolo al mio blog "Pensieri, racconti, recensioni, idee...tutto quanto mi passa per la mente"


COME NASCE L'IDEA DENTRO I TUOI POST?

Nasce da film visti, libri o fumetti letti, da ricordi improvvisi, da curiosità che mi passano per la mente, cose che elaboro per un po' e se alla fine ritengo abbastanza valida l'idea studio il modo per pubblicarla. Ho recentemente iniziato a usare un quaderno per appuntare le idee per i post, ma mi capita ancora che le illuminazioni mi vengano nei momenti più strani, mentre sto registrando i clienti al lavoro, o mentre sono in viaggio in auto o sotto la doccia. Qualche volta queste sono diventate post altre volte invece si sono perse nei meandri della mia psiche senza trovare più via d'uscita.




QUALI MEZZI USI PER IL BLOGGING?

Salvo rarissime eccezioni uso il pc portatile, solo sporadicamente ho usato lo smartphone o il tablet, forse un paio di volte il pc fisso dell'hotel. Come dicevo nel punto precedente, da qualche tempo uso un quaderno per prendere gli appunti e fissare le idee.


QUANTO IMPIEGHI PER UN POST E COME LO INSERISCI NEL TUO TEMPO LIBERO?

Dipende...Prima mi deve venire l'idea giusta, poi la elaboro mentalmente per un po', quindi cerco informazioni e confronti online, a questo punto metto tutto assieme e comincio a buttare giù il testo; solo questa fase richiede un bel po' di tempo perché cerco di essere grammaticalmente e sintatticamente corretto, onde per cui ho sempre il vocabolario dei sinonimi sotto mano. Poi c'è la ricerca delle immagini e di eventuali link. Il tutto richiede dalle due alle tre ore, ma talvolta ho impiegato anche mezza giornata di tempo. L'unica cosa a cui, mea culpa, dedico poco tempo è la revisione del testo.
Non pubblico con la costanza che vorrei, ma non me ne faccio un cruccio.


QUAL E' IL TUO RAPPORTO CON I SOCIAL NETWORK E COME SONO LEGATI AL TUO BLOG?

Diciamo che c'è un rapporto di amore/odio...Uso soprattutto Facebook, ma meno di qualche anno fa, c'è troppa gente che lo usa per veicolare odio e fake news. Instgram lo uso per quello che doveva essere il suo scopo iniziale, pubblicare fotografie "artistiche" fatte da me. Da poco ho cominciato a usare Twitter per dare voce al polemico che è in me.
Su Facebook ho una pagina legata direttamente al blog che poi condivido sulla mia bacheca o in alcuni gruppi.




VEDI QUESTA CRISI DEL BLOGGING IN PRIMA PERSONA, TANTO DA AVER AVUTO LA TENTAZIONE DI TRASFERIRTI IN PIANTA STABILE SUI SOCIAL?

Indubbiamente un po' di crisi c'è, ma questo soprattutto per quei blog che venivano usati come diario personale o come luogo per dire la propria sulle notizie di ogni giorno, cosa che ormai si è spostata sui social che regalano una maggiore e più veloce visibilità.
Per quanto riguarda i blog tematici invece, non vedo tutta questa crisi, anzi. Io del resto ho accantonato in parte proprio i social network perché il blog mi da possibilità di scrivere in maniera più ampia, approfondita e soprattutto più libera, senza tutte le limitazioni che FB o Instagram impongono ai propri utenti.


Beh, ora che ho risposto a tutte le domande in teoria dovrei nominare qualcuno per continuare il tag, ma un po' perché io stesso sono in ritardo nel rispondere all'invito di Pirkaf, un po' perché non ne ho molta voglia, non nomino nessuno in particolare, ma invito chiunque voglia a partecipare e a  rispondere alle sopracitate domande.

martedì 12 novembre 2019

Coherence - Oltre lo spazio tempo (2013)

Quattro coppie di amici si ritrovano a casa di due di loro per una cena e qualche chiacchiera in compagnia. Nonostante una leggera tensione dovuta a vecchi rancori e segreti non ancora svelati, la serata prosegue tranquilla, ma il passaggio di una cometa vicino all'orbita terrestre, tanto che è visibile ad occhio nudo, scatena una serie di eventi che portano gli otto protagonisti a dover affrontare paure e paranoie che metteranno a dura prova le loro sicurezze e i loro rapporti.



Coherence - Oltre lo spazio tempo è un film del 2013 del regista James Ward Byrkit che unisce il genere fantascientifico della teoria degli universi paralleli con il thriller claustrofobico ambientato in un'unica location, per parlare anche di rapporti umani, dissapori e ostilità mai superate, che spingono a chiedersi se conosciamo veramente i nostri amici e noi stessi..
La pellicola è l'opera prima del regista che ha affermato di aver iniziato a girare il film senza una sceneggiatura vera e propria, ma solo con qualche idea sugli eventi principali della trama e poi ha distribuito singolarmente ad ogni attore delle brevi note sui personaggi, per poi affidarsi all'improvvisazione degli attori stessi.
Girato in solo cinque notti, per ovviare allo scarso budget, il film è ambientato, salvo poche eccezioni, in un'unica stanza, che poi è il vero salotto di casa del regista.




Con questo film, Byrkit ci dimostra come sia possibile girare una pellicola senza grosse somme di denaro e con pochi mezzi, eppure raccontare una storia intelligente, per nulla banale (seppure l'idea non sia proprio originale) e decisamente avvincente.
Certo il film non è privo di difetti: ad esempio se si è completamente digiuni da termini di fisica quantistica, anche solo a livello nozionistico, come il paradosso del gatto di Schrödinger, o le teorie sugli universi paralleli, seguire la trama potrebbe risultare ostico e il finale lascia qualche questione in sospeso, ma tutto sommato sono cose da poco rispetto al valore del film in se.
Io ho deciso di guardare questo film a scatola chiusa, senza sapere nulla sulla trama e sul genere di opera che sarei andato a visionare e forse è questo il modo migliore per vederlo e gustarselo, perciò non mi dilungherò oltre (e a differenza di altre volte non ho fatto nessuno spoiler) e vi auguro una buona visione e un buon trip mentale.




giovedì 31 ottobre 2019

Geek League - Hallowgeek: Dylan Dog - Sette anime dannate

L'anno scorso la Geek League si era riunita ad Halloween per parlare di quegli episodi di serie tv, dedicati appunto alla festa più spaventosa dell'anno.
Quest'anno abbiamo invece deciso di dedicare le nostre recensioni al mondo dei fumetti, ma non avendo trovato nulla di ambientato durante la notte di Halloween, sono comunque rimasto nel mondo dell'horror andando a ripescare un vecchio albo dell'Indagatore dell'incubo.
L'albo di cui andrò a parlare è "Sette anime dannate".




"Sette anime dannate" è uscito la prima volta come speciale n°6 nel luglio 1992 e poi più volte ristampato in vari formati, a cui era allegato un volumetto con un avventura completamente dedicata a Groucho, amico e assistente di Dylan Dog.
Soggetto e sceneggiatura sono del papà di Dylan, Tiziano Sclavi, mentre i disegni sono del grandissimo Corrado Roi e ciò fà di questo, uno degli albi più belli tra tutti quelli di Dylan Dog.



La trama è presto detta: Dylan e altri sei personaggi sono invitati da un misterioso anfitrione a Xanador, un'oscura e isolata magione. Ad accogliere gli ospiti però non c'è nessuno, fatta eccezione per alcune marionette manovrate da sottili fili che paiono perdersi nel nulla. Ben presto i sette sventurati che sono stati invitati lì in quanto rappresentanti dei sette vizi capitali e perciò essere puniti e morire.



La storia si rifà direttamente al romanzo di Agatha Christie, "Dieci piccoli indiani" qui tradotto come nell'originale "Ten little niggers" (Dieci piccoli negretti), ma Tiziano Sclavi è un autore tutt'altro che banale e intreccia tematiche tipicamente gialle ad atmosfere horror-gotiche, con punte di commedia nera che affronta con il cinismo proprio di Sclavi, questioni profonde quali la dualità dell'animo umano e le sue debolezze. Ma se da un lato questa duplicità pare ben delineata, almeno dal punto di vista del misterioso padrone di casa, dall'altro bene e male, odio e amore, sesso e morte sono separate da un filo sottile e spesso le due cose si mescolano e sovrappongono.



Questo pensiero è una costante del "primo" Dylan Dog e infatti il suo autore gli fa dire "...da laico, non ho mai considerato, né questa né gli altri, dei peccati...solo comprensibili debolezze umane".
Oltre ad Agatha Christie, Sclavi si diverte a seminare per la storia varie citazioni letterarie e cinematografiche che vanno dall'avaro Scrooge de "Il canto di Natale" di Dickens all'esplosione dell'uomo obeso, riferimento al signor Cresote de "Monty Python - Il senso della vita", passando per rimandi alla Bibbia e al cinema horror classico.
Inoltre l'autore è riuscito ad anticipare di ben tre anni un film come "Seven" con una tematica molto simile.



Come detto a coadiuvare il buon Tiziano, ai disegni troviamo Corrado Roi che qui firma quello che è forse il suo capolavoro; del resto i suoi tratti paiono perfetti per le ambientazioni gotiche della storia.
Le sue figure slanciate, assieme alle strutture vertiginose e assurde del castello, sono tipiche del cinema espressionista tedesco, così come la costruzione dei corridoi, con i suoi giochi di luce e i suoi angoli bui, conferiscono alla magione il ruolo di personaggio, che con la sua malvagità insita in se stessa, ricorda le numerose case stregate del cinema horror di ogni tempo e in particolare di quello degli anni '50 e '60 come "Gli invasati " o "La casa sulla scogliera".
Tuttavia, Roi se la cava bene anche nei momenti più propriamente splatter, con tavole e disegni espliciti, che non lasciano molto spazio a fantasie.



Insomma "Sette anime dannate" è uno di quegli albi che riesce a coniugare alla perfezione storia, sceneggiatura, personaggi e disegni, uno di quegli albi che rimarranno a lungo nella mente e nel cuore dei lettori, grazie anche ad un protagonista forte e fragile contemporaneamente, forse un po' ipocrita, ma che è convinto delle sue idee e fedele ai suoi principi, tanto da non aver paura di sputare in faccia ad un angelo.

Qui di seguito i post degli amici per la Hallogeek:


martedì 29 ottobre 2019

I bambini del cielo (1997)

Alì, tornando a casa dal calzolaio, si fa rubare le scarpe di sua sorella Zohre. La loro famiglia è povera, la madre è malata e il padre lavora molte ore per un misero stipendio, per cui, per non venir sgridati e per non dare ulteriori preoccupazioni alla famiglia, i due bambini decidono che si divideranno le scarpe di Alì.




I bambini del cielo” è uno di quei rari film iraniani che è riuscito a vedere la luce anche al di fuori del proprio paese, vincendo anche l premio come miglior film al Festival Internazionale di Montreal. Il regista, Majid Majidi, si rifà chiaramente al cinema neorealista italiano, girando un film ad altezza di bambino, permettendoci così di vedere la realtà attraverso gli occhi dei due piccoli protagonisti. La macchina da presa segue così le scarpe, che diventano così le terze protagoniste della storia, attraverso le vie di una Teheran povera ed ancora arretrata, con la tecnica del pedinamento, particolarmente care a De Sica e Zavattini.





Il film è dunque una sorta di denuncia contro la società iraniana contemporanea, in cui le differenze sociali sono enormi (basti vedere le sequenze in cui Alì e suo padre vanno in cerca di lavoro nei quartieri ricchi della città). Alì e Zohre, sono così costretti a fare la staffetta con le sole scarpe del bambino, ma mantenere il segreto è difficile, perché Zohre con quelle scarpe troppo grandi, che rischia anche di perdere, si sente a disagio, lei vorrebbe le sue scarpe da femminuccia. Poi quando è il turno di Alì di indossarle, il ragazzino arriva sempre in ritardo a scuola, rischiando più volte di venire punito.




Majid Majidi tuttavia, usa una mano piuttosto leggera nel raccontarci la storia dei due bambini, donando al film un tocco fin troppo edulcorato, in cui non risulta esser ci nessun personaggio totalmente negativo e in cui non si raggiunge un vero e proprio climax nemmeno nel finale, che nonostante potrebbe risultare beffardo, viene anticipato da una breve sequenza, che assicura l’happy end, abbassando così il potenziale critico del film. Malgrado ciò, la forza maggiore della pellicola, è la poetica di cui traspare, dalla prima all’ultima scena, grazie soprattutto ai due piccoli protagonisti non professionisti, capaci di un espressività e di un intensità emotiva, che non possono non commuovere.



In questo senso, acquistano maggior forza, sia la sequenza della gara di corsa, in cui Alì, quando si vede disonestamente ostacolato, andrà oltre le proprie forze, vincendo la gara, ma perdendo l’occasione di vincere un paio di scarpe nuove, sia nel finale vero e proprio, quando vediamo il bambino sconsolato, dare riposo ai piedi distrutti dalla faticosa corsa, mettendoli nella fontana del cortile, consolato solo dai pesci rossi, che sembrano volersi prendere cura dei piedi del ragazzino. In sostanza un film che sarebbe potuto essere più incisivo, ma dalla bellissima poetica, e che dovrebbe essere mostrato nelle nostre scuole, ma non soltanto, per farci rendere conto, quali sono i veri valori della vita, altro che l’ultimo modello di I-pod…

venerdì 18 ottobre 2019

I cartoni dimenticati (4): Jacky, l'orso del monte Tallac

Un altro prodotto della Nippon Animation oggi poco ricordato, è "Jackie, l'orso del monte Tallac" (Seaton, debutsuki kuma No ko Jackie) tratto dal romanzo "Monarch, The Big Bear of Tallac" pubblicato nel 1904 dallo scrittore Ernest Thompson Seton.




La storia narra dell'amicizia tra Senda, un piccolo indiano che vive assieme al padre nelle praterie canadesi, nei pressi del monte Tallac e due cuccioli di grizzly che il bambino chiama Jackie e Nuka.
Un giorno Kellyan, il padre di Senda, è costretto ad uccidere la madre dei due orsacchiotti per salvare un bracconiere che le stava dando la caccia. Senda e suo padre decidono quindi di occuparsi dei due cuccioli rimasti orfani, ad aiutarli ci saranno anche zio Dimas, un vecchio cercatore d'oro e da Olga, la figlia dell'uomo a cui Kellyan ha salvato la vita.



Ben presto Jackie e Nuka dovranno imparare a difendersi dai pericoli della natura e dalla malvagità dell'uomo, ma dopo un lungo inverno, torneranno sul monte Tallac, non prima di aver salutato il loro amico Senda.




Andato in onda per la prima volta tra il giugno e il dicembre del 1977 in Giappone, l'anime,composto da 26 episodi, è arrivato in Italia nel 1983 passando per lo più per emittenti locali, tra cui Antennatre.
Il cartone, indirizzato ad un pubblico di età compresa tra i sei e i dieci anni, puntava su valori quali il rispetto della natura, l'amicizia e la capacità di superare gli ostacoli con le proprie forze.



Il character desing, a opera di Yasuji Mori, è tutto sommato piuttosto buono soprattutto quello dei due piccoli orsi. Meno riuscito è il doppiaggio, ma va ricordato che a dare la voce a Jackie (e ad altri due personaggi) è la compianta attrice Anna Marchesini.




Molto bella la colonna sonora realizzata per l'Italia e la Spagna dai Royal Jelly, ovvero gli Oliver Onions, che dedicano un intero album monografico alla serie intitolato Jacky.
L'opera ha vinto in Giappone il Premio Ministero della cultura per l'infanzia nel 1978 e sempre in quell'anno il Premio della salute pubblica per il suo contributo all'educazione infantile.
Per quanto mi riguarda, pur non sovvenendomi nessun episodio in particolare, ricordo che era un anime che mi piaceva e che seguivo volentieri.



Fonti:
Wikipedia
AnimeClick
Cartoniscomparsi

         

mercoledì 16 ottobre 2019

Un matrimonio in scarpe da tennis

Rieccomi a scrivere qualcosa dopo un lungo silenzio; che volete farci...le ultime settimane sono state piuttosto impegnative perché...beh perché sabato 5 ottobre mi sono sposato.
E così, dopo un fidanzamento di meno di tre anni e dopo esser divenuti genitori di due splendide bimbe, Chiara ed io, abbiamo finalmente coronato anche questo sogno.



In realtà, noi pensavamo al matrimonio già nel 2017, ma con la scoperta della gravidanza abbiamo dovuto rimandare i nostri propositi.
Tuttavia, avendo appunto iniziato a organizzare la preparazione già un paio di anni fa (vestiti e bomboniere sono rimasti chiusi nell'armadio per quasi due anni), abbiamo potuto fare le cose con un po' più di calma, anche se non sono mancati inconvenienti e problematiche di vario tipo che mi hanno talvolta demoralizzato ed esasperato.



Avendo deciso di sposarci a Vigonza, dove vivo io, la maggior parte dell'organizzazione pratica è toccata a me, anche se Chiara mi ha sempre aiutato come poteva, sia da Bologna, sia quando veniva a passare il weekend qui. Inoltre, dato che lei si occupa da sola delle gemelle per la maggior parte della settimana, il minimo che potessi fare era darmi da fare per organizzare un matrimonio che la rendesse felice e perciò le chiedo scusa se ogni tanto mi sono lamentato e sono stato nervoso.



Fin dall'inizio la nostra idea era quella di fare un matrimonio informale, libero e alla fine così è stato: entrambi con delle simil Converse rosse ai piedi, lei con un abito stile anni 50 io con jeans e una giacca in pelle. Il rinfresco, fatto a buffet, sotto alla barchessa nel giardino di una villa comunale, ha permesso agli invitati di non dover sottostare alle rigide tempistiche di un classico ristorante; chi voleva stava seduto, chi voleva stava in piedi, si poteva tranquillamente girare per il grande parco e i bimbi hanno potuto usufruire di scivoli, altalene e altri giochi. Abbiamo cantato, ballato, chiacchierato, ritrovato vecchi amici; insomma è stata proprio una bellissima giornata, grazie anche al tempo che è stato a noi benevole, in cui credo si siano divertiti tutti, che era un altro dei nostri obiettivi.
Di cose da scrivere ce ne sarebbero tante altre, sia dal punto di vista organizzativo, sia per ricordare i vari momenti della festa, ma dato la nebbia che ancora offusca il mio cervello preferisco chiudere con questa frase dii Walt Whitman:

"Eravamo assieme, tutto il resto del tempo l'ho scordato"

giovedì 26 settembre 2019

La creatura nel buio - Fine

Eccomi dopo sei mesi dall'ultima pubblicazione a chiudere il mio racconto a puntate che spero che vi sia piaciuto anche solo in parte.
Prima di proseguire con la lettura vi segnalo gli altri capitoli in caso vi mancassero:


PARTE 1, 2, 3, 4, 5, 6



Il lancinante dolore alla spalla lo riportò alla realtà e si accorse che era rimasto svenuto solo qualche secondo. La creatura lo stava ancora tenendo sollevato sopra la scrivania a pochi centimetri dalle sue fetide fauci.
Shirley raggomitolata con suo figlio tra le braccia, stava osservando quella scena impietrita dal terrore, ormai rassegnata a non sopravvivere.
Dalla ferita, il sangue scendeva copioso riversandoglisi sul petto e la fitta costante gli impediva di pensare chiaramente, eppure Edwin sapeva che doveva trovare una soluzione per uccidere il mostro e salvare Shirley e Rupert.
Improvvisamente sgranò gli occhi, ma questa volta non fu per il dolore; qualcosa gli passò per la mente, un'immagine rapida come un battito di ciglia, un ricordo sopito, l'eco di un sogno dimenticato.
La palla, doveva recuperare la palla di Joe Di Maggio. Quando Mr Dunham gliel'aveva regalata molti anni prima, prendendola in mano Ed aveva provato un formicolio al braccio e un brivido lungo la schiena e quasi era svenuto. Al tempo aveva attribuito la cosa all'emozione, ma forse quella palla aveva qualcosa di speciale, qualcosa di magico e ora si trovava sopra il caminetto del salotto.
Ed cercò lo sguardo di sua moglie dall'altro lato della stanza e senza emettere un suono le parlò; le disse quanto la amava e quanto amava il loro bambino, le disse che per lei avrebbe combattuto contro cento mostri, che avrebbe affrontato la morte stessa se fosse stato necessario, ma che in quel preciso momento aveva bisogno del suo aiuto, che doveva farsi forza e che toccava a lei a salvare la sua famiglia.
Sotto il velo di lacrime, gli occhi di Shirley si illuminarono e fece un segno d'assenso a Edwin.
Approfittando del fatto che il mostro fosse concentrato solo su suo marito, la donna afferrò la lampada a stelo accanto al lettino del bambino e usandola come un asta colpì la creatura in pieno volto.
L'essere sibilò, più per la sorpresa che per il dolore, ma tanto bastò per fargli perdere la presa su Ed, che ruzzolò pesante prima sulla scrivania e poi sul pavimento.
Quando si rialzò, Edwin vide che la creatura aveva afferrato Shirley per la gola, si guardò dunque velocemente attorno, poi raccolse un tagliacarte e avventandosi contro il mostro, glielo conficcò in un occhio, permettendo alla donna di liberarsi.
Questa volta l'urlo fu di autentico dolore misto a rabbia, ma Edwin fece in tempo a prendere suo figlio per la vita e a trascinarlo fuori dalla camera, mentre Shirley li seguiva a ruota.
"Andate, porta via Rupert di qua" le ordinò
"Ma.." cercò di obiettare lei
"Vai via!" urlò "Ora non c'è tempo..." poi con un ton un tono più rassicurante possibile aggiunse "ce la farò".
Entrambi sapevano che quella promessa era falsa; non potevano essere sicuri che lui ne sarebbe uscito vivo, ma per permettere a Rupert di salvarsi, l''unica soluzione era scappare in quel preciso istante.
Shirley prese il bambino in braccio e scese per strada voltandosi una sola volta in cerca di suo marito, sperando che lui avesse deciso di seguirla, ma Ed era già corso in salotto per recuperare la palla da baseball,un attimo prima che la creatura uscisse dalla cameretta in cerca della sua preda.
Edwin arrivò in un lampo al caminetto del salotto e afferrò la palla magica proprio quando l'essere lo raggiunse bloccandogli l'unica via d'uscita.
Ora erano solo lui e il mostro e aveva solo un tiro a disposizione per vincere la partita, altrimenti sarebbe stata la fine per tutti.
La creatura lo guardò con l'unico occhio buono che gli era rimasto, quindi gli si fece incontro con un urlo inumano.
Ed strinse la palla tra le dita e mentre caricava il tiro, portando il braccio fin dietro alla spalla dolorante, una sorta di scossa gli percorse l'intero arto e lui seppe che quello era il momento giusto.
Lasciò partire il tiro e fece strike.
La palla si conficcò nell'orbita oculare del mostro, spappolandogli il cervello e facendolo crollare a terra  morto sull'istante.
Edwin si avvicinò cautamente al corpo dell'essere, ma questi non si mosse più. Tuttavia, non ancora convinto, portò il cadavere in garage per farlo a pezzi con il decespugliatore.
Una volta finito, Ed raggiunse Shirley e Rupert che vedendolo arrivare gli corsero incontro per abbracciarlo, abbandona l'aiuto portato dai vicini preoccupati.
Poi si udirono soltanto le sirene dei soccorsi che si stavano avvicinando.

sabato 14 settembre 2019

La scomoda maschera di Fantozzi

Ugo Fantozzi è un personaggio che nasce dalla mente e dalla penna di Paolo Villaggio, che poi interpreterà la sua stessa creatura in sketches televisivi e in numerosi film cinematografici.
Sfortunato, inetto, continuamente succube dell'autorità, Fantozzi è entrato nell'immaginario comune come prototipo dell'uomo vessato dalla società che prova costantemente a trovare una forma di riscatto senza, peraltro, quasi mai riuscirci.
Il personaggio esordisce nel 1968, in alcuni sketches interpretati dallo stesso Villaggio, durante la trasmissione Quelli della domenica e in seguito trasposto in un libro, edito da Rizzoli, pubblicato nel 1971 che avrà un enorme successo, tanto da essere tradotto in varie lingue e che vincerà, in Unione Sovietica, il premio Gogol come migliore opera umoristica.

Fantozzi ragionier Ugo, matricola 1001/Bis dell'Ufficio Sinistri


Nel 1975 Fantozzi esordisce al cinema, in un film diretto da Luciano Salce, che unisce i primi due libri dell'autore genovese, trovando subito il consenso del pubblico, ma solo parte della critica, che lo definisce perlopiù, un film riuscito solo in parte e con scene troppo slegate tra loro.
Tuttavia, con il tempo, il film è divenuto un vero e proprio cult e molti critici si sono ricreduti, attribuendogli sempre più spesso, pareri favorevoli e positivi.
Il successo di Fantozzi è dovuto alla graffiante ironia assieme all'iperbole con la quale è disegnato il personaggio, nel quale molta gente si identificava o in cui vedeva riconosciuto un mondo a loro vicino (chi non ha mai avuto a che fare con superiori sfruttatori e cinici, con colleghi arrivisti o con l'autorità forte con i più deboli e servile con chi è al comando?).

La corazzata Kotiomkin è una caxxta pazzesca!


Nel 1976 esce al cinema Il secondo tragico Fantozzi, che avendo per base gli stessi due libri utilizzati per la prima pellicola, ne è quasi un naturale continuo, altrettanto riuscito e con altrettante sequenze ormai divenute celeberrime e stracitate.
E' dal terzo film della serie, Fantozzi contro tutti, che le cose cominciano a cambiare e non del tutto in positivo, anzi.
Innanzitutto la regia passa da Salce a Neri Parenti, che ha tutt'altra mano, rispetto al regista romano, con una comicità meno raffinata, pur tuttavia conservando ancora una discreta qualità, non ancora scatologica e volgare, come invece capiterà con altre pellicole (vedi i vari cinepanettoni).

Com'è umano Lei


Inoltre, proprio da questo terzo episodio, il personaggio di Fantozzi subisce una fusione con quello di Giandomenico Fracchia, altro personaggio di Paolo Villaggio, che nei libri aveva il ruolo di compagno di sventure del celebre ragioniere (ruolo che nei film viene modificato e da cui nasce il ragioniere, poi geometra, Filini), ma che in Quelli della domenica, ha sketches tutti suoi, con un personaggio solo vagamente simile a quello di Fantozzi, ma molto più vigliacco, inetto, dalla parlata confusa.

Beh in effetti questa storia comincia a essere un po' ripetitiva...


Questa fusione verrà maggiormente messa in evidenza in Fantozzi subisce ancora e da lì riproposta in diversi altri personaggi in altri film, come Suola di ladri (1 e 2), I pompieri e Missione eroica - I pompieri 2, Ho vinto la lotteria di capodanno, Io no spik inglish e molti altri, ma se nella saga di Fantozzi, fino a Fantozzi alla riscossa, grazie a delle sceneggiature che in qualche modo riuscivano a fare ancora della critica sociale, da lì in poi e in tutte le altre pellicole nelle quale veniva riproposta la maschera inventata da Villaggio ha cominciato a stancare anche il pubblico meno esigente, in quanto fine a se stessa ed eternamente ripetitiva.

Avete visto che so recitare veramente?


Per di più, Paolo Villaggio si ritrovò intrappolato nella sua stessa creatura, in quanto il pubblico ormai lo identificava unicamente come Fantozzi/Fracchia, dimenticando che l'attore ligure era un artista a tutto tondo e che sapeva dare vita a personaggi brillanti, ma non macchiettistici come in Io speriamo che me la cavo o La voce della luna, o drammatici come ne Il segreto del bosco vecchio o Azzurro.
In conclusione, ritengo che Fantozzi (in tutte le sue varianti) sia una delle maschere più riuscite e importanti del cinema italiano, ma che come altre saghe cinematografiche o serie tv, avrebbe dovuto fermarsi un po' di tempo prima.

martedì 3 settembre 2019

Tarzan di gomma (1981)

Le ferie, la famiglia e altri impegni, mi hanno tenuto distante dal blog. In attesa di tempi più tranquilli, posto una vecchia recensione, almeno per farvi sapere che sono ancora vivo e vegeto.



Ivan è un bambino di otto anni, buono e tranquillo, ma che soffre con tormento il confronto con la vita di tutti i giorni. A scuola i compagni lo prendono in giro, per la sua debolezza fisica, e lo vessano con scherzi, spesso pesanti; lui però non si sente in grado di reagire e così si isola sempre di più, rimanendo triste e solo.
Gli insegnanti, anziché aiutarlo a uscire dal suo guscio, lo ignorano o ancora peggio, assecondano  il comportamento del resto della scolaresca. A casa le cose vanno, possibilmente anche peggio, con una madre troppo indaffarata nelle vicende domestiche, e un padre che non solo non lo stima, ma che anzi, il più delle volte lo umilia, chiamandolo “stupido” o paragonandolo ad un Tarzan di gomma



L’uomo vorrebbe che suo figlio fosse forte e coraggioso, e gli indica come modello il vero Tarzan, arrivando a regalargli dei fumetti e una sveglia del suo eroe, sveglia che il bambino farà precipitare dalla finestra dell’appartamento, dimostrando in realtà di avere un carattere che si sta formando, e che sa ciò che vuole e ciò che non gli piace. Ben presto però, Ivan capisce che l’aggressività del padre è solo apparenza, perché questi, quando ha a che fare con persone più “forti” di lui, china la testa e dimostra di essere un debole, anche più debole del figlio. Ciò non fa che contribuire all’isolamento del bambino, che tuttavia dimostra tutta la sua sensibilità nei confronti degli animali, come nella scena in cui salva una mosca che stava annegando nella sua tazza del latte.



L’unico che sembra capire Ivan, è Ole, un operaio del porto con cui il ragazzo ha stretto amicizia, una volta che aveva tentato di nascondersi  tra i containers del molo. L’uomo gli insegna a nuotare, ad andare in bicicletta e addirittura a pilotare la sua gru, ma soprattutto gli insegna ad avere fiducia in se stesso e gli ricorda che tutti hanno delle qualità e delle capacità, tutto sta nel saperle tirare fuori. Ivan ora comincia a prendere coraggio e in una sequenza particolarmente significativa, seppur solo in sogno, il bambino riesce a prendersi la sua rivincita nei confronti di tutti gli adulti. 



Alla fine del film, troviamo Ivan che festeggia il compleanno, finalmente felice e sereno, assieme ad Ole e ai suoi genitori, che hanno imparato ad accettarlo ed amarlo così com’è. Film educativo, tipicamente nordico, e anche se un po’ didascalico, trasmette comunque valori positivi, e nella sua semplicità, può piacere non soltanto ad un pubblico giovane. Il regista mantiene uno stile sobrio e delicato, rimanendo attento alle sfumature psicologiche dei personaggi. Bravi gli attori e in particolare Alex Svanbjerg, che interpreta il piccolo protagonista.

lunedì 12 agosto 2019

Geekoni film festival: L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza

Per il secondo anno consecutivo, la Geek League, omaggia il più famoso festival cinematografico per ragazzi, il Giffoni film festival, di cui Truffaut ebbe a dire: "Tra tutti i festival del cinema, quello di Giffoni è il più necessario".
Per il film di quest'anno sono volato in Brasile a recuperare una pellicola che usa la leggerezza per parlare di temi seri e delicati: "L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza" di Cao Hamburger del 2006.



1970, Mauro è un ragazzino di dodici anni, che come tutti i brasiliani, attende con impazienza l'inizio dei mondiali di calcio (quelli che noi italiani ricorderemo, ancor più che per la cocente sconfitta in finale contro Pelè e compagni, per la semifinale contro la Germania vinta 4 a 3 e che è passata alla storia calcistica come la partita del secolo).
Tuttavia quello è anche un periodo di rivolte politiche e molti oppositori del governo sono costretti all'esilio, tra questi ci sono anche i genitori di Mauro che decidono di raccontare al figlio che devono partire per una vacanza e lo lasceranno a casa del nonno, con la promessa di tornare a prenderlo entro la fine dei mondiali di calcio.



L'anziano, che vive nel quartiere ebraico di San Paolo. è però morto poco prima dell'arrivo del bambino, che si ritrova così solo in un ambiente a lui estraneo.
In quest'occasione, Mauro conosce Shlomo, un vicino di casa del nonno, dal carattere scorbutico, che sarà costretto dalla sua comunità a occuparsi del ragazzino.
Inizialmente il rapporto tra i due sarà difficile, ma con il passare del tempo i due riusciranno a trovare un equilibrio e ad affezionarsi l'uno all'altro.



Nel frattempo Mauro, mentre aspetta il ritorno dei suoi genitori, entrerà in contatto con il variegato quartiere di Bom Retiro in cui, oltre agli ebrei, convivono anche italiani, greci e arabi; farà amicizia con la coetanea Hanna, con la bella barista Irene e con Italo studente di sinistra, amico di suo padre e sua madre.
Durante quell'estate, il Paese è diviso tra l'entusiasmo per i successi della nazionale e le preoccupazioni per il pesante clima politico, cosa che si riflette anche nella vita di Mauro che alla fine capirà che ci sono cose più importanti di una partita di calcio.



Cao Hamburger, ha decido di raccontarci una pagina oscura del storia del Brasile, ma vista con gli occhi innocenti di un bambino, che in realtà non capisce cosa stia succedendo, che vorrebbe solo riunirsi ai suoi genitori, e che sogna di essere "negro e volare tra i pali".
Da questo punto di vista il film si distacca molto da pellicole dure e crude, come "City of God" e si accosta di più al film argentino "Kamchatka", in cui la rivoluzione è tenuta sullo sfondo, per raccontare le difficoltà di un ragazzino costretto ad un nuova situazione che è ancora troppo piccolo per poter comprendere a pieno.




Il film è infatti una storia di formazione, un racconto di passaggio dall'infanzia all'adolescenza, in cui il protagonista imparerà, grazie alla convivenza con culture diverse da quelle con cui è vissuto fino a quel momento, a crescere e maturare e che ci sono cose ben più importanti di una finale di coppa del mondo.