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giovedì 19 novembre 2015

Goodnight mommy (2014)


Lukas ed Elias sono due gemellini di dieci anni e passano le loro giornate estive a rincorrersi tra i filari di un campo di grano, facendo il bagno in uno splendido laghetto immerso tra i boschi e facendo la lotta nei verdi campi davanti casa, una bellissima quanto gelida villa, sperduta nella campagna austriaca. Quando finalmente la loro madre torna a casa, con il volto coperto di bende, dopo un’operazione di chirurgia estetica, i due bambini cominciano a sospettare che quella donna non sia chi dice di essere e ben presto le cose precipiteranno in una spirale di follia e violenza, fino all’inevitabile finale.



I due registi , Severin Fiala e Veronika Franz, rispettivamente nipote e moglie del regista Ulrich Seidl, proseguono sulla strada già intrapresa dallo stesso Seidl (il film Canicola su tutti) e di cui Haneke è il maggior esponente; un cinema fatto di lunghe attese e di improvvisi scoppi di violenza, via via sempre più disturbante.
Seppure la realtà del film sia chiara fin da subito, almeno per un pubblico più smaliziato (l’idea ricorda in parte quella della pellicola di Robert Mulligan Chi è l’altro?), il seme del dubbio resiste per tutta la sua durata. Assistiamo così ad un classico gioco del gatto con il topo, ma in cui i ruoli si invertono continuamente, in cui non è mai chiaro fino alla fine, se siano i bambini a essere pazzi, o realmente la madre celi qualche segreto sotto a quelle bende che le nascondono il volto.
La donna si dimostra subito fredda e dispotica, al solo scopo di preservare una bellezza acquisita artificialmente, arrivando a chiudere i figli in camera per più giorni, a schiaffeggiarli o a uccidere un gatto randagio che i due bambini avevano portato in casa; ed è questa cattiveria a instillare nei gemelli il dubbio sulla vera identità della madre; così nei loro sogni la madre è un essere senza volto, come nelle foto sfocate appese per la casa, che probabilmente ritraggono la donna prima dell’intervento.
Avviandosi verso la fine, il film cambia registro e seppure continui a essere pervaso da un’aura gelida e distaccata, apre improvvisamente le porte al voyerismo della violenza, accostandosi ad alcuni torture porn francesi (Martyrs o Frontiers), ma mai fine a se stessa, in quanto legata ad un contesto psicologico sociale, per cui risulta ben inserita.
Goodnight mommy è dunque un gran bel film, duro e viscerale che non può lasciare indifferenti, perché colpisce sia a livello mentale ed motivo, sia a livello fisico: una pellicola profondamente disturbante, soprattutto per la giovane età dei protagonisti. A tal proposito, risultano bravissimi i due gemelli, scelti tra 240 coppie, soprattutto per il loro aspetto fragile ed innocente, ma allo stesso tempo permeato da un alone di mistero e inquietudine.
Splendida anche la fotografia di Martin Gschlacht, che contribuisce in maniera fondamentale a donare al film quel senso onirico e di oppressione, per cui lo spettatore si sente perduto.
Un film che piacerà agli amanti del horror d’atmosfera e del thriller psicologico.


martedì 28 luglio 2015

La ragazza della porta accanto (2007)

"Io avevo tanti sogni...ora non ne ho più"

David ha dodici anni e passa le lunghe giornate estive assieme ai suoi amici, o in riva al fiume. Un giorno incontra Meg, una bella ragazza di sedici anni, che assieme alla sorella si è trasferita a casa dei suoi vicini. Le due ragazzine hanno perso i genitori in un incidente stradale e sono state affidate alle cure di Ruth Chandler, loro lontana parente e madre dei migliori amici di David. Ben presto però, la donna rivelerà tutto il suo sadismo, nei confronti delle due sorelle, prima sottoponendole ad umiliazioni e qualche percossa, per poi farle sprofondare in un inferno fatto di torture e  violenze fisiche e psicologiche, a cui parteciperanno anche i giovani figli della donna, nonché alcuni altri ragazzini del vicinato. David diviene così testimone muto di quei terribili segreti, a metà tormentato dai sensi di colpaverso Meg, ma bloccato dal timore reverenziale per Ruth.Tratto dal romanzo di Jack Ketchum, che a sua volta si basa su avvenimenti realmente accaduti, il film è uno spaccato atroce di quell’America chiusa e rurale, di cui ogni tanto sentiamo parlare per sanguinosi fatti di cronaca. “La ragazza della porta accanto”, che a differenza del romanzo non ha ancora trovato una distribuzione italiana, è un horror “vero” perché  i mostri di cui parla sono reali; non ci sono vampiri o zombies, ma esseri umani sadici e puramente cattivi. E sebbene la violenza vera e propria, non venga mai mostrata direttamente, ma per lo più suggerita, nemmeno film come “Saw” o  “Hostel”, che facevano del voyerismo la propria carta forte, riuscivano a essere altrettanto duri e crudeli. Forse perché, seppure manovrati dalla mefistofelica Ruth, a perpetrare la maggior parte delle violenze sono dei ragazzi o ragazzini, da cui non ci si aspetta tanta crudeltà.  Il film parte un po’ lento, ma quando ingrana diventa una macchina devastante, che colpisce con forza e non può lasciare indifferenti. Alcune sequenze ineffetti, sono veramente impressionanti, pur non arrivando a mostrare nulla direttamente, e probabilmente non sono adatte a cuori deboli. Credo che il regista volesse sottolineare l’ambiguità degli stati d’animo dei protagonisti, facendo si che anche lo spettatore si senta spiazzato e confuso inquanto, una cosa è ciò che è giusto fare, un’altra e quello che la paura ti concede di fare, e direi che è perfettamente riuscito nel suo intento, perché il film è assolutamente coinvolgente. Seppure con qualche ingenuità, Wilson dimostra grandi doti, muovendosi bene conla macchina da presa, soffermandosi spesso su dettagli, che però danno una visione d’insieme ancora più realistica. Come già detto, il fatto di tenere la violenza vera, nascosta allo spettatore, ma solo suggerita è un valore aggiunto, poiché non c’è mezzo forte quanto l’immaginazione, dunque è come se si stesse assistendo direttamente alle torture che la protagonista subisce. Molto bravi gli attori, in particolare Daniel Manche (David) e Blythe Auffarth (Meg) che riescono a rendere evidente il tormento che i due ragazzini vivono, con l’animo in conflitto con se stesso, combattuti tra ciò che è giusto fare e ciò che in realtà possono fare. Un film, che gli amanti del genere, non potranno non apprezzare, ma che sconsiglio  a chi è troppo sensibile.