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lunedì 4 aprile 2022

Mom and Dad (2017)

 All'uscita del film, avevo letto da qualche parte, non ricordo dove, recensioni positive per cui appena possibile l'ho recuperato  con curiosità. Ora mi chiedo, ma quelli a cui è piaciuto, cos'hanno visto?
Ok, de gustibus eccetera, eccetera, ma io l'ho trovato veramente brutto e ridicolo, che certo non aveva un grande budget, ma il problema non è lì, è proprio la sceneggiatura, il montaggio e la regia che sono inguardabili, per non parlare della recitazione, in particolare quella di Nicolas Kim Coppola è surreale e sopra le righe.




Andiamo però in ordine. Trama: In una cittadina americana, un'improvvisa follia collettiva colpisce tutti i genitori che tenteranno in ogni modo di far fuori la propria prole. Un'adolescente e il suo fratellino dovranno sopravvivere alla furia di mamma e papà.

L'idea in sé era buona e con quella giusta cattiveria da rendere il film deliziosamente interessante; ma poi viene tutto sprecato da una regia e una recitazione da principianti.
A leggera la trama, il pensiero mi era andato a quel piccolo gioiello che è "Ma come si può uccidere un bambino?"(ma anche al buon "The Children") con il rovesciamento dei ruoli, ma dopo meno dieci minuti di visione si capisce che non solo non si sta giocando nello stesso campionato, ma proprio a due giochi completamente diversi.



Quello che fa incazzare è che il film ha un ottimo incipit e quindi nei primi secondi ti illudi, ma subito dopo i titoli di testa tutto crolla inesorabilmente.

Innanzitutto i bambini, per i quali dovresti fare il tifo, sono talmente antipatici che pensi: "ma sì spaccagli la testa a quei deficienti!". 
Non dico che avrebbero dovuto essere due angioletti da commedia zuccherosa, ma almeno creare un po' di empatia, no?
Poi i personaggi tagliati con l'accetta (scusate il gioco di parole): la madre (Selma Blair) stressata e frustrata che cerca di recuperare il rapporto con la figlia adolescente che nemmeno la calcola; il padre (Nicolas Cage) anche lui stanco e con la crisi di mezz'età, che rimpiange la libertà giovanile.
Anche il personaggio della domestica è stereotipato e finisce col diventare una ridicola macchietta, vanificando una delle poche scene (quasi) riuscite del film.




Ho già parlato della recitazione di Nicolas Cage, ma vale la pena tornarci su un attimo per sottolineare quanto quest'attore sia ormai la presa in giro di se stesso: urla, piange, sbraita, si agita tutto in maniera eccessiva e ridicola raggiungendo uno dei livelli più bassi della sua carriera (e questo è tutto dire).

C'è poi una sceneggiatura scritta malissimo, basti pensare ai ridicoli flashback di Cage, che dovrebbero servire a dare una tridimensionalità al suo personaggio e invece lo rendono solo più grottesco e assurdo (vedi il ricordo con l'auto e quello del dialogo con il figlio).
L'unica cosa spaventosa del film sono le parole del nipote del "buon" Nick che preventivato un sequel del film, che fortunatamente non c'è ancora stato.



Concludendo, siamo difronte all'ennesimo film dal potenziale sprecato da una regia regia sbagliata e da una recitazione pessima. Il mio consiglio è quello di cercare le emozioni altrove, ma se proprio volete vederlo, almeno non fatevi nessuna illusione.



giovedì 6 agosto 2020

D.A.R.Y.L. (1985)

Questo post avrebbe dovuto far parte del Geekoni Film Festival, la versione nerd e blogger del celebre Giffoni Film Festival, però per svariati motivi, quest'anno il progetto non è partito, e siccome mi sarebbe dispiaciuto buttare tutto all'aria, eccomi qui a parlarvi di D.A.R.Y.L.



Il dodicenne Daryl viene abbandonato su una strada di montagna da un uomo che poi precipita con la sua auto in un burrone. Dopo aver passato qualche tempo in un orfanotrofio, il ragazzino viene dato in affidamento ai coniugi Richardson, che da tempo aspettavano di poter adottare un bambino.
A parte l'amnesia di cui è affetto e che non gli permette di non ricordare nulla del suo passato, Daryl è un bambino sano dotato di un'intelligenza fuori dal comune, cosa che gli permette di spiccare nello studio, nei giochi e nello sport. E' inoltre in grado di imparare rapidamente nuove nozioni come risolvere complessi calcoli matematici e a suonare il pianoforte.



Daryl inoltre si dimostra servizievole e autosufficiente, tanto che la signora Richardson si sente inadatta nei suoi confronti, perché sembra che lui non abbia bisogno di cure o aiuto in nulla. 
Tuttavia sia lei che il marito si affezionano molto al bambino, che ricambia genuinamente il sentimento e che nel frattempo ha legato una forte amicizia con Turtle detto Sisma, figlio dei vicini di casa dei Richardson.
Purtroppo la felicità acquisita da tutti è destinata a durare poco; infatti dopo pochi mesi, si fanno vivi un uomo e una donna che asseriscono di essere i veri genitori di Daryl.



In questo momento scopriamo che in realtà Daryl è un avanzatissimo prototipo di intelligenza artificiale, dal corpo umano, ma con un micro-computer al posto del cervello, finanziato dall'esercito al fine di creare un soldato super intelligente e privo di emozioni che ubbidisca ad ogni ordine.
Quando però si accorgono che il soggetto, oltre che ad incredibili capacità cognitive, ha acquisito anche le emozioni che caratterizzano ogni essere umano, gli ufficiali decidono di porre fine al progetto e, dunque, di distruggere Daryl.
I due scienziati a capo del progetto, i quali ormai considerano la loro creatura un essere umano vero e proprio, fanno solo finta di ucciderlo, per poi farlo fuggire e riportarlo a casa dei Richardson.
Quando però il generale dell'esercito si accorge dell'imbroglio darà inizio alla caccia del ragazzino per poterlo eliminare una volta per tutte.



Durante la fuga, il dottore che accompagna il bambino viene ucciso, ma Daryl riesce a entrare in un di aviazione e a rubare un sofisticato aereo militare.
A questo punto l'esercito decide di far esplodere il velivolo, ma solo un'attimo dopo che Daryl si è eiettando fuori dall'abitacolo.
Dopo un rocambolesco atterraggio, quando tutti lo credono morto, Daryl viene riportato in vita dall'ultima degli scienziati che lo avevano progettato, e può fare finalmente ritorno dalle persone che ama.



D.A.R.Y.L. è un film del 1985 che si inserisce in tutto quel filone di film per ragazzi tipico di quel periodo come "Explorers", "Navigator", "War Games", "E.T. - L'extraterrestre" e molti altri.
Certo se ci si aspetta un film come i "Goonies" ricco di tensione e momenti emozionanti, o di vedere una fantascienza adulta e piena di effetti speciali, si può rimanete delusi da quest'opera, che tuttavia grazie ad una storia interessante, che punta decisamente sui sentimenti e alla bravura degli interpreti riesce a conquistare lo spettatore.



Il regista, Simon Wincer ("Harley Davidson e Marlboro Man", "Free Willy - Un amico da salvare"...) dirige senza troppi guizzi, ma con abilità un film che riesce a porre domande morali che non ci si sarebbe aspettati da un film del genere e cioè dove si può tracciare una linea etica tra uomo e macchina . A rispondere al quesito, nel film, è la dottoressa Lamb che dice "Una macchina diventa umana quando la diversità non è più avvertibile", frase che si rifà direttamente all'esperimento di pensiero sull'intelligenza artificiale ideato dal matematico Alan Turing, padre della moderna teoria informatica.



Dilemmi simili ne sono stati posti spesso al cinema, vale la pena di ricordare, ad esempio "A.I. - Intelligenza artificiale" di Spielberg, che più di quindici anni dopo racconta una storia simile, seppure poi questa si sviluppi in maniera diversa.
Ottima la prova del giovane protagonista Barret Oliver, già protagonista de "La storia infinita" e che quell'anno vedremo anche in "Cocoon - L'energia dell'universo".


Un paio di curiosità prima di chiudere:

Il videogioco a cui Daryl e Sisma giocano è "Pole Position" riprodotto su piattaforma Atari, mentre il film che si vede mentre i dure ragazzini parlano al walkie-talkie è il celebre "Il pianeta proibito"


mercoledì 25 dicembre 2019

Caro Babbo Natale ti scrivo




Caro Babbo Natale,
probabilmente l'ultima volta che ti ho scritto, la mia età anagrafica non aveva raggiunto le due cifre, ma ora, dopo tanto tempo, ho pensato fosse tornato il momento di riprendere carta e penna o meglio, tastiera e video e inviarti questa lettera che hai tra le mani.
Buffo, no? A quarantaquattro anni dovrei sapere che tu non esisti, ma poi, chi lo dice che sia così?
In realtà io credo ancora in te, forse perché ho ancora, anche se un po' più nascosto, uno spirito fanciullesco; credo nella magia, nei sogni e nelle favole.
Del resto se la religione ci insegna a credere in un Dio invisibile e onnipotente in grado di ridare la vista ad un cieco e di trasformare l'acqua in vino; allora perché non credere in un vecchio corpulento che porta doni e gioia in tutto in ogni angolo della terra?
Okay, okay, se tirassi fuori il mio lato cinico e realista dovrei avere seri dubbi sull'esistenza di entrambi, dato come stanno andando le cose in giro per il mondo, ma non è questo il momento.
Parliamo invece dell'anno che sta per finire e alla fine ti lascerò le mie richieste per il prossimo.
Com'è normale che sia, quest'anno è stato fatto di alti e bassi: la prima cosa da ricordare è sicuramente il matrimonio con Chiara; l'organizzazione è stato piuttosto impegnativa e faticosa, ma alla fine la festa è riuscita benissimo, è stata un splendida giornata e credo che siamo stati tutti, sposi e invitati, molto contenti. E di questo ti ringrazio.
In tutto ciò, la nota negativa è che purtroppo, per ora, la nostra continua a essere una relazione a distanza e questo ferisce entrambi.
Le bimbe continuano a crescere, ora camminano (abbastanza) bene entrambe, anzi corrono, si arrampicano e bisogna avere mille occhi per stare attenti che non si facciano male. Non parlano ancora bene, ma conoscono un sacco di paroline e tante continuano a impararne. Vederle fare progressi ogni giorno è una cosa meravigliosa.
In generale la salute va bene, c'è stata qualche piccola magagna, ma al momento l'abbiamo superata.
In conclusione posso ritenermi soddisfatto di quest'anno, anche se non ho ricevuto tutto quello che speravo e nonostante un po' di stanchezza, alla fine non posso che ringraziarti per tutte le cose positive che ci sono state.
Passiamo ora alle richieste di quest'anno (devi decidere tu se sono meritevole di riceverle oppure no, probabilmente a volte avrei potuto essere un po più bravo, ma altre sono stato decisamente buono dunque le cose si compensano, giusto?): come sempre ti chiedo salute e serenità per la me, la mia famiglia e le persone a me care. Lo so, è una cosa che tutti ti chiedono, ma se non ci sono quelle, non avrebbe senso che ti chiedessi altre cose, non trovi?
Ti chiedo poi un lavoro a Bologna, così posso trasferirmi stabilmente dalla mia famiglia. Durante la settimana mi mancano tremendamente tutti e conto sempre i giorni che mancano per rivederli.
Se poi volessi farmi vincere una piccola somma di denaro, la cosa non mi farebbe schifo. Lo so, è una richiesta decisamente venale, ma un aiuto economico andrebbe a rafforzare, almeno temporaneamente, quella serenità di cui sopra.
Ho come l'impressione di star dimenticando di scriverti qualcosa, ma forse era una bugia...
Il mio regalo per te è questa canzone che ti lascio qui sotto, spero tu gradisca. Buon Natale!



martedì 29 ottobre 2019

I bambini del cielo (1997)

Alì, tornando a casa dal calzolaio, si fa rubare le scarpe di sua sorella Zohre. La loro famiglia è povera, la madre è malata e il padre lavora molte ore per un misero stipendio, per cui, per non venir sgridati e per non dare ulteriori preoccupazioni alla famiglia, i due bambini decidono che si divideranno le scarpe di Alì.




I bambini del cielo” è uno di quei rari film iraniani che è riuscito a vedere la luce anche al di fuori del proprio paese, vincendo anche l premio come miglior film al Festival Internazionale di Montreal. Il regista, Majid Majidi, si rifà chiaramente al cinema neorealista italiano, girando un film ad altezza di bambino, permettendoci così di vedere la realtà attraverso gli occhi dei due piccoli protagonisti. La macchina da presa segue così le scarpe, che diventano così le terze protagoniste della storia, attraverso le vie di una Teheran povera ed ancora arretrata, con la tecnica del pedinamento, particolarmente care a De Sica e Zavattini.





Il film è dunque una sorta di denuncia contro la società iraniana contemporanea, in cui le differenze sociali sono enormi (basti vedere le sequenze in cui Alì e suo padre vanno in cerca di lavoro nei quartieri ricchi della città). Alì e Zohre, sono così costretti a fare la staffetta con le sole scarpe del bambino, ma mantenere il segreto è difficile, perché Zohre con quelle scarpe troppo grandi, che rischia anche di perdere, si sente a disagio, lei vorrebbe le sue scarpe da femminuccia. Poi quando è il turno di Alì di indossarle, il ragazzino arriva sempre in ritardo a scuola, rischiando più volte di venire punito.




Majid Majidi tuttavia, usa una mano piuttosto leggera nel raccontarci la storia dei due bambini, donando al film un tocco fin troppo edulcorato, in cui non risulta esser ci nessun personaggio totalmente negativo e in cui non si raggiunge un vero e proprio climax nemmeno nel finale, che nonostante potrebbe risultare beffardo, viene anticipato da una breve sequenza, che assicura l’happy end, abbassando così il potenziale critico del film. Malgrado ciò, la forza maggiore della pellicola, è la poetica di cui traspare, dalla prima all’ultima scena, grazie soprattutto ai due piccoli protagonisti non professionisti, capaci di un espressività e di un intensità emotiva, che non possono non commuovere.



In questo senso, acquistano maggior forza, sia la sequenza della gara di corsa, in cui Alì, quando si vede disonestamente ostacolato, andrà oltre le proprie forze, vincendo la gara, ma perdendo l’occasione di vincere un paio di scarpe nuove, sia nel finale vero e proprio, quando vediamo il bambino sconsolato, dare riposo ai piedi distrutti dalla faticosa corsa, mettendoli nella fontana del cortile, consolato solo dai pesci rossi, che sembrano volersi prendere cura dei piedi del ragazzino. In sostanza un film che sarebbe potuto essere più incisivo, ma dalla bellissima poetica, e che dovrebbe essere mostrato nelle nostre scuole, ma non soltanto, per farci rendere conto, quali sono i veri valori della vita, altro che l’ultimo modello di I-pod…

mercoledì 16 ottobre 2019

Un matrimonio in scarpe da tennis

Rieccomi a scrivere qualcosa dopo un lungo silenzio; che volete farci...le ultime settimane sono state piuttosto impegnative perché...beh perché sabato 5 ottobre mi sono sposato.
E così, dopo un fidanzamento di meno di tre anni e dopo esser divenuti genitori di due splendide bimbe, Chiara ed io, abbiamo finalmente coronato anche questo sogno.



In realtà, noi pensavamo al matrimonio già nel 2017, ma con la scoperta della gravidanza abbiamo dovuto rimandare i nostri propositi.
Tuttavia, avendo appunto iniziato a organizzare la preparazione già un paio di anni fa (vestiti e bomboniere sono rimasti chiusi nell'armadio per quasi due anni), abbiamo potuto fare le cose con un po' più di calma, anche se non sono mancati inconvenienti e problematiche di vario tipo che mi hanno talvolta demoralizzato ed esasperato.



Avendo deciso di sposarci a Vigonza, dove vivo io, la maggior parte dell'organizzazione pratica è toccata a me, anche se Chiara mi ha sempre aiutato come poteva, sia da Bologna, sia quando veniva a passare il weekend qui. Inoltre, dato che lei si occupa da sola delle gemelle per la maggior parte della settimana, il minimo che potessi fare era darmi da fare per organizzare un matrimonio che la rendesse felice e perciò le chiedo scusa se ogni tanto mi sono lamentato e sono stato nervoso.



Fin dall'inizio la nostra idea era quella di fare un matrimonio informale, libero e alla fine così è stato: entrambi con delle simil Converse rosse ai piedi, lei con un abito stile anni 50 io con jeans e una giacca in pelle. Il rinfresco, fatto a buffet, sotto alla barchessa nel giardino di una villa comunale, ha permesso agli invitati di non dover sottostare alle rigide tempistiche di un classico ristorante; chi voleva stava seduto, chi voleva stava in piedi, si poteva tranquillamente girare per il grande parco e i bimbi hanno potuto usufruire di scivoli, altalene e altri giochi. Abbiamo cantato, ballato, chiacchierato, ritrovato vecchi amici; insomma è stata proprio una bellissima giornata, grazie anche al tempo che è stato a noi benevole, in cui credo si siano divertiti tutti, che era un altro dei nostri obiettivi.
Di cose da scrivere ce ne sarebbero tante altre, sia dal punto di vista organizzativo, sia per ricordare i vari momenti della festa, ma dato la nebbia che ancora offusca il mio cervello preferisco chiudere con questa frase dii Walt Whitman:

"Eravamo assieme, tutto il resto del tempo l'ho scordato"

martedì 3 settembre 2019

Tarzan di gomma (1981)

Le ferie, la famiglia e altri impegni, mi hanno tenuto distante dal blog. In attesa di tempi più tranquilli, posto una vecchia recensione, almeno per farvi sapere che sono ancora vivo e vegeto.



Ivan è un bambino di otto anni, buono e tranquillo, ma che soffre con tormento il confronto con la vita di tutti i giorni. A scuola i compagni lo prendono in giro, per la sua debolezza fisica, e lo vessano con scherzi, spesso pesanti; lui però non si sente in grado di reagire e così si isola sempre di più, rimanendo triste e solo.
Gli insegnanti, anziché aiutarlo a uscire dal suo guscio, lo ignorano o ancora peggio, assecondano  il comportamento del resto della scolaresca. A casa le cose vanno, possibilmente anche peggio, con una madre troppo indaffarata nelle vicende domestiche, e un padre che non solo non lo stima, ma che anzi, il più delle volte lo umilia, chiamandolo “stupido” o paragonandolo ad un Tarzan di gomma



L’uomo vorrebbe che suo figlio fosse forte e coraggioso, e gli indica come modello il vero Tarzan, arrivando a regalargli dei fumetti e una sveglia del suo eroe, sveglia che il bambino farà precipitare dalla finestra dell’appartamento, dimostrando in realtà di avere un carattere che si sta formando, e che sa ciò che vuole e ciò che non gli piace. Ben presto però, Ivan capisce che l’aggressività del padre è solo apparenza, perché questi, quando ha a che fare con persone più “forti” di lui, china la testa e dimostra di essere un debole, anche più debole del figlio. Ciò non fa che contribuire all’isolamento del bambino, che tuttavia dimostra tutta la sua sensibilità nei confronti degli animali, come nella scena in cui salva una mosca che stava annegando nella sua tazza del latte.



L’unico che sembra capire Ivan, è Ole, un operaio del porto con cui il ragazzo ha stretto amicizia, una volta che aveva tentato di nascondersi  tra i containers del molo. L’uomo gli insegna a nuotare, ad andare in bicicletta e addirittura a pilotare la sua gru, ma soprattutto gli insegna ad avere fiducia in se stesso e gli ricorda che tutti hanno delle qualità e delle capacità, tutto sta nel saperle tirare fuori. Ivan ora comincia a prendere coraggio e in una sequenza particolarmente significativa, seppur solo in sogno, il bambino riesce a prendersi la sua rivincita nei confronti di tutti gli adulti. 



Alla fine del film, troviamo Ivan che festeggia il compleanno, finalmente felice e sereno, assieme ad Ole e ai suoi genitori, che hanno imparato ad accettarlo ed amarlo così com’è. Film educativo, tipicamente nordico, e anche se un po’ didascalico, trasmette comunque valori positivi, e nella sua semplicità, può piacere non soltanto ad un pubblico giovane. Il regista mantiene uno stile sobrio e delicato, rimanendo attento alle sfumature psicologiche dei personaggi. Bravi gli attori e in particolare Alex Svanbjerg, che interpreta il piccolo protagonista.

martedì 19 marzo 2019

Di padre in figlio

Oggi, 19 marzo, si festeggia la festa del papà. Quest'anno ho deciso di celebrare questa ricorrenza seguendo la mia passione per il cinema e, dunque, parlando di alcuni film che hanno al centro della storia il rapporto padre-figli. In questa lista ci saranno film di vario genere, anno e paese di produzione; ci saranno bravi papà, ma anche papà imperfetti, che però ce la mettono tutta per correggere i propri errori e dimostrare il loro amore; ci saranno papà naturali, e papà adottivi, ma pur sempre papà.

IL GIOVEDI':

Dino (Walter Chiari) uno spiantato quarantenne, separato dalla moglie, ottiene di passare una giornata con suo figlio, che non vede da molto tempo. All'inizio l'uomo cercherà in tutti i modi di impressionare il piccolo Robertino, ma riuscirà solo a fare brutte figure. Tuttavia col passare del tempo il rapporto tra i due si fa più intimo e sincero e alla fine si scopriranno affezionati.




KRAMER CONTRO KRAMER:

Ted (Dustin Hoffman) lavora per agenzia pubblicitaria e proprio quando l'uomo ha ottenuto un importante incarico, la moglie se ne va di casa, lasciandolo solo a cresce il loro figlio Billy. Inizialmente, dato che Ted si concentra quasi esclusivamente sul lavoro, il loro rapporto è difficile e il bambino sente la mancanza della figura materna, ma col passare del tempo l'intesa tra i due si fa sempre più forte, anche perché l'uomo deciderà di dedicare più tempo al figlio a discapito del lavoro. Dopo diversi mesi, la madre torna per riprendersi il figlio, il che porterà ad una dura battaglia legale. Quando Ted si rende conto che ciò porterebbe a far soffrire l'amato figlio, lascerà la vittoria alla madre, che a sua volta, accortasi del profondo legame che si è creato tra padre e figlio, si farà da parte.




BIG FISH:

Da piccolo William (Ewan McGregor) era molto affascinato dalle storie avventurose che suo padre Edward (Albert Finney) raccontava sulla sua vita, ma una volta cresciuto e compreso che molte di queste erano solo fantasie ha cominciato a provare vergogna e pena per un uomo che non riusciva mai a essere serio e sincero e così per molto tempo sii è allontanato dall'uomo. Quando però Ed è sul letto di morte, William torna per un ultimo saluto e attraverso ricordi e dialoghi, il ragazzo scopre che dietro a tanta fantasia, quelle storie nascondevano molte verità



ALLA RICERCA DI NEMO:

Marlin è un pesce pagliaccio che vive con la moglie Coral nella grande barriera corallina. Un giorno un barracuda li attacca, divorando Coral e la maggior parte delle uova che lei aveva deposto. Quando si riprende, Marlin si accorge che solo un uovo si è salvato e decide di chiamarlo Nemo.
Marlin si dimostra un padre attento e premuroso, ma fin troppo ansioso.
Quando però il figlio viene catturato da un sub, Marlin comincerà una lunga ricerca per ritrovarlo, che attraverso mille avventure lo porterà fino all'acquario di un dentista di Sidney.
Alla fine padre e figlio si riabbracceranno entrambi maturati da quell'avventura.




MRS. DOUBTFIRE:

Daniel Hillard è separato dalla moglie, ma è molto affezionato ai figli, che ama con tutto se stesso. Purtroppo la sua condizione di lavoratore precario fa si che il tribunale affidi la tutela dei ragazzi solo alla moglie, concedendogli di vederli qualche ora il sabato. L'uomo, disperato, pur di continuare a vedere i figli si traveste da anziana signora e si farà assumere come tata dalla sua ex moglie.
Il film spassoso e divertente, grazie ad uno strepitoso Robin Williams, vuole dimostrare che un uomo per i suo figli farebbe qualsiasi cosa.



ANCHE LIBERO VA BENE:

Tommi vive con la sorella Viola e il padre Renato (Kim Rossi Stuart), mentre la madre li ha abbandonati diverso tempo prima.
Renato vive la sua vita e i suo rapporti come una continua gara dalla quale vuole uscire vincitore e per questo sprona spesso suo figlio.
Il ritorno della donna sembra portare ad un nuovo equilibrio famigliare, anche se il piccolo Tommi si dimostra diffidente nei confronti della madre, equilibrio che si spezza quando la donna scappa di nuovo. A rendere ancora più difficile la situazione è anche la precarietà lavorativa di Renato causata dal suo carattere competitivo. Alla fine, dopo una brutta lite, padre e figlio si riconcilieranno entrambi maturati.



UN PADRE IN PRESTITO:

Graham Holt (William Hurt) ha già passato i quarant'anni, è single e vive con il padre a carico. James è invece un ragazzino di dodici anni, orfano di madre che stravede per il padre, che è in galera. Graham, bisognoso di affetto, anche a causa di un difficile passato, chiede di adottare il James, che inizialmente gli viene dato in affidamento. Tra i due le cose non saranno semplici; ci saranno forti discussioni e momenti di tenero affetto. Quando il padre del ragazzo, malato di Aids, esce di prigione, Graham lo ospita per un po' a casa sua in modo che il figlio possa affrontare meglio la nuova situazione. James però scappa di casa, anche ricordando la morte della madre; Graham lo trova nascosto nella foresta e dopo aver passato lì tutta la notte, i due sono pronti ad accettarsi come padre e figlio.



THE ROAD:

In un mondo post apocalittico, un uomo (Viggo Mortensen) e suo figlio vagano negli Stati Uniti, diretti verso il sud, nella speranza di trovare un clima migliore. L'uomo farà di tutto per sopravvivere e mantenere in vita il figlio, ma ciò comporta che si incattivisca e diventi cinico ed egoista. Il ragazzino invece, grazie alla sua ingenuità, continua a essere buono e generoso. Alla fine l'uomo ferito e malato, morirà, non prima di aver ricordato al figlio di continuare a cercare i buoni come lui.



LA VITA E' BELLA:

Guido Orefice (Roberto Benigni) è un cameriere ebreo che si innamora di una maestra elementare. Anni dopo i due sono sposati e hanno un figlio, Giosuè. Durante la seconda guerra mondiale tutta la famiglia viene deportata in un campo di concentramento e qui Guido, si inventa un gioco in modo da tenere sempre allegro il figlio e che questi riesca sopravvivere a quell'inferno.




FATHER AND SON:


Ryota Nonomiya, un uomo ossessionato dal successo sul lavoro, scopre che Keita, il bambino che ha cresciuto per sei anni, in realtà non è suo figlio biologico.
Ryusei, il vero figlio dei Nonomiya è cresciuto in una famiglia meno benestante, ma più unita.
Messe in contatto, in attesa del processo contro l'ospedale, le due famiglie devono decidere se continuare ad allevare ognuna il bambino dell'altra o effettuare uno scambio rispettando il legame biologico.
Ryota è quello più convinto che ogni famiglia riprenda il proprio figlio naturale e perciò, dopo un periodo di ambientamento, le due famiglie effettuano lo scambio.
Tuttavia i bambini soffrono il distacco, ma sei Keita trova una famiglia unita e felice, Ryusei non riesce ad adattarsi alla nuova situazione e scappa di casa per tornare dai suoi genitori.
Alla fine anche Ryota capisce che non è solo il sangue a creare i legami famigliari e dopo un chiarimento con il bambino, accetta di riprendere con se Keita.






mercoledì 13 marzo 2019

Ospiti pericolosi (1995)

Ripesco dalle vecchie recensioni, un altro film poco noto, ma che secondo me vale la pena recuperare:

Durante la seconda guerra mondiale, nella Francia occupata dai nazisti, una numerosa famiglia decide di ospitare, nascosti in cantina, una famiglia ebrea, nonostante il pericolo di venir scoperti. Tra François (Stanislas Crevillén) il figlio più piccolo dei padroni di casa, e Georgi, la bambina ebrea, nasce una bella amicizia. Le cose però si complicano quando, nella casa si installa un generale nazista.
 



Pierre Granier-Deferre, ci racconta la storia dei Dande, famiglia numerosa e benestante, emigrata nella campagna francese, per sfuggire all’occupazione nazista a Parigi. Lo sguardo è quello dell’ultimogenito, François, curioso e vivace come tutti i bambini della sua età. Per la maggior parte della pellicola, l’orrore dell’olocausto e la violenza della guerra rimango lontani, nascosti, se ne avverte qualche eco, si vedono notizie al cinegiornale, se ne parla, com’è giusto che sia, ma per François la vita è bella, fatta di studio e scampagnate in bicicletta, di ripetizioni di grammatica con l’avvenente signora Roussel, che turba i cuori di più di un componente della famiglia Dande, e pomeriggi a prendersi cura di un piccolo pino; insomma nel piccolo borgo la vita scorre pacifica, tant’è che lo stesso François avrà a dire: “non sembra che ci sia la guerra”



Però il bambino è sveglio e si accorge che un giorno in casa sta succedendo qualcosa di nuovo e suo padre si incontra più spesso con un misterioso personaggio che lui chiama “l’uomo scuro”; infatti qualche giorno dopo, François scopre che in cantina, viene nascosta una famiglia ebrea. Il rischio di venire scoperti è grosso, anche perché in paese sono arrivati i tedeschi, con i loro autoblindo e i loro cannoni, che tanto affascinano i bambini, corsi in fretta a vedere i nuovi arrivati. La guerra è ora qualcosa di reale, e allo scorrere della vita quotidiana, adesso si sovrappongono immagini di impiccagioni e gente che scompare nel nulla, come Germain, giardiniere dei Dande, un tempo letterato auto esiliatosi, per salvare la pelle.
Nel frattempo, il legame tra François e la piccola “ospite”, si fa sempre più forte, mettendo in pericolo la permanenza della famiglia fuggitiva, soprattutto quando un commando di nazisti decide di installarsi nell’abitazione dei Dande. I due bambini sono costretti a vedersi di sfuggita, per brevi momenti, per lo più attraverso la grata che dà in cantina, unico spiraglio sul mondo esterno, per la famiglia nascosta.



Quando il generale nazista, fa capire al capofamiglia, che ospitare certe persone potrebbe essere pericoloso, per i due amici è venuto il momento di separarsi. François accompagna con il padre, Georgi e i suoi genitori, verso il confine spagnolo, attraverso i monti. Lì i bambini giocano per un’ultima volta assieme, per poi salutarsi per sempre. Infine anche la famiglia Dande lascia il piccolo borgo per far ritorno a Parigi, lasciando però a François tanti ricordi, quelli più dolci, perché legati agli ultimi istanti dell’infanzia, in cui anche un periodo difficile, come quello della guerra, può essere visto con tenerezza e malinconia.



Pierre Granier-Deferre, mantiene per tutto il film toni leggeri, cosa che per qualcuno rappresenta un grosso difetto, accusando il film di frivolezza e retorica, ma a mio avviso, essendo la storia ambientata lontano dal fronte e soprattutto perché vista dagli occhi di un bambino, il regista ha fatto la scelta giusta, puntando invece sullo sguardo di François, che sia muove curioso tra i vari personaggi che incontra, e su un mondo per lui ancora così misterioso.




sabato 16 febbraio 2019

La guerra dei bottoni (1962)

Impegni personali e imprevisti vari mi hanno di nuovo tenuto lontano dai miei doveri di blogger per cui prima di lasciar passare ancora più tempo senza aggiornamenti, vado di nuovo a pescare tra le vecchie recensioni.




Tra i paesi di Veltrans e Longeverne, nella campagna francese, c’è stata a lungo una forte rivalità, ma se ora gli adulti hanno imparato ad andare d’accordo tra di loro, non è così per i ragazzini, che continuano a farsi la guerra, con spade di legno, sassi e botte da orbi. Quando una delle due bande riesce a fare un prigioniero, lo priva di bottoni, fibbie, cinture e lacci delle scarpe, costringendo il malcapitato a tornare a casa, reggendo i pantaloni con le mani e dunque a subire il rimprovero dei genitori oltre ad un’imbarazzante umiliazione.


Robert, il capo dei caimani , per evitare le punizioni paterne, che inoltre lo minaccia di mandarlo in collegio, si inventa di combattere nudi, ma con l’arrivo dei primi freddi questa tattica diventa improponibile. Il gruppo pensa così di comprare bottoni e cinghie, che assieme al bottino di guerra, verrà usato per ricucire i vestiti danneggiati. Un traditore però avverte Zazzera, capo dei falchi, su dove si nasconda il nascondiglio segreto, vanificando così il lavoro dei compagni. Il finale vede Robert arrivare al collegio, dove incontra Zazzera, anche lui spedito li dai genitori. I due ragazzi si scoprono così più simili di quanto avessero pensato e diventano subito amici.



Sulla falsa riga dei “I ragazzi della via Pal”, Yves Robert, mette in scena questa commedia vivace e spigliata, tratta dal romanzo omonimo di Louis Pergaud, più volte portato sul grande schermo, anche se questa rimane quella più conosciuta e riuscita. Seppur metafora del mondo degli adulti (e in particolare sulla guerra) e su come questo viene percepito dai più piccoli, la battaglia tra le due fazioni non ha nulla di veramente aggressivo, anche se combattuta con armi potenzialmente pericolose come spade di legno o sassi, ma ha più un valore ludico, un gioco ad imitare gli adulti che si fanno (realmente) la guerra.



Tuttavia in questo conflitto, i bambini si dimostrano, ancora una volta, più sensibili dei grandi, come nella scena in cui decidono una temporanea tregua per soccorrere assieme un coniglio ferito. La stessa sensibilità si nota nei discorsi che i ragazzini fanno nell’organizzarsi per lo scontro, che con serietà parlano di ricchezza e povertà, repubblica e monarchia,  uguaglianza e ingiustizia, argomenti difficili e delicati, ma che loro affrontano con ingenua autorevolezza.



Gli adulti, in questo film, sono personaggi di contorno, portatori unicamente di una morale punitiva, dimenticandosi probabilmente, di essere stati ragazzini a loro volta e soprattutto che la rivalità tra le due bande è dovuta a loro.
Yves Robert dirige un film dinamico e divertente, privo o quasi di tempi morti, che ancora oggi si fa vedere con piacere. Bravissimi i giovani protagonisti, simpatici e genuini nella loro naturalezza.

lunedì 14 gennaio 2019

Nicolas Cage Day: The Family Man




Qualche giorno fa è stato il compleanno di Nicolas Cage e noi amici del blog segreto, abbiamo deciso di regalargli una retrospettiva.
Certo questo non è tra i film più tamarri della carriera di Nicola Gabbia, ma è quello che al momento ho più chiaro in mente, per cui beccatevi questa recensione.

Se c'è una cosa che Nicolas Cage sa fare, è scegliersi dei buoni film o , per lo meno, film che hanno un buon potenziale (si perché anche quei mezzi fiaschi di "Segnali dal futuro" e "Next", tanto per citarne due, avevano le risorse per essere dei bei film, salvo buttare tutto in vacca dopo un buon inizio). Così è anche per questo "The family man", che non sarà un capolavoro, ma è una pellicola abbastanza furba e intelligente da piacere ad una buona fetta di pubblico.




Jack Campbell
è un ricco uomo d'affari di Wall Street, vive in un lussuoso attico, guida una Ferrari e  di sicuro non gli mancano le donne. Tutto sembra perfetto nella sua vita.
L'uomo sta per mettere a punto un'importante fusione e per questo ha organizzato una riunione d'emergenza per il giorno di Natale, dimostrando quanto la famiglia, conti poco per lui.
La sera della vigilia, tornando a casa, si ferma in un negozio dove incontra Cash, un ragazzo di colore, che vistosi rifiutato il pagamento di una vincita alla lotteria, sta per sparare al commesso.
Jack si offre di comprargli il biglietto e poi con arroganza offre anche il suo aiuto.
La mattina seguente, a Natale, Jack si risveglia in un letto che non è il suo, in una casa alla periferia del New Jersey, sposato con la sua vecchia fidanzata Kate (una splendida Téa Leoni), lasciata tredici anni prima, e padre di due figli.




Ancora confuso, Jack tenta di tornare al suo ufficio e al suo appartamento di New York, ma qui nessuno sembra riconoscerlo.
E' qui che incontra ancora una volta Cash, che gli spiega che sta vivendo un assaggio di quella che avrebbe potuto essere la sua vita se non fosse mai partito per studiare a Londra.
Questa "nuova vita" gli sta però un po' stretta, non è soddisfatto del suo lavoro di rivenditore di gomme e sia come padre che come marito commette un sacco di errori e ingenuità, come quando ha quasi tradito sua moglie Kate, con una donna sposata.
Tuttavia un po' alla volta, questa vita semplice comincia a piacergli, si innamora di Kate, si affeziona ai figli e inizia ad apprezzare il suo lavoro.



Quando, dopo qualche altro alto e basso, Jack capisce che è quella la vita che avrebbe sempre voluto e che quello che gli mancava nella sua agiata vita da uomo d'affari erano gli affetti famigliari, ritrova Cash che gli dice che "l'occhiatina" è finita e che deve tornare alla sua vecchia vita.
Tornato alla sua esistenza solitaria a New York, Jack decide di prova a ricontattare Kate, che nel frattempo, anche lei, è diventata una donna in carriera e sta per trasferirsi a Parigi.
Dopo averla raggiunta all'aeroporto, lui le racconta di come avrebbero potuto essere le loro vite se fossero rimasti assieme. Lei dubbiosa, ma incuriosita, accetta di prendere una tazza di caffè all'aeroporto, lasciando il finale aperto.




"The family man" è il classico film natalizio per famiglie che gioca la carte dei buoni sentimenti e si rifà chiaramente a "La vita è meravigliosa" di Frank Capra.
Brett Ratner se la cava con mestiere e alla fine porta a casa la pagnotta eppure a tratti, il suo film, risulta essere falso e ipocrita; mi riferisco in particolare alla vita "alternativa" di Jack, con una famiglia stile Mulino Bianco, in cui si vuol fare credere che abitare in una villetta di due piani e 6/7 locali, con una macchina da almeno 30.000 euro, sarebbe una vita difficoltosa e di "poco successo".
Certo forse lo sarebbe per il Jack milionario, ma chiunque altro, firmerebbe carte false per un tenore di vita come quello.
Del resto Ratner non è Frank Capra, e Nicolas Cage non è James Stewart e anche in questa pellicola, fatta eccezione per un paio di scene, tipo quando è costretto a cambiare il pannolino al figlio più piccolo, si conferma espressivo come un tostapane. Alla fine però il ruolo è simpatico e ci si affeziona al personaggio, perciò anche se l'interpretazione è quella che è, risulta meno detestabile di altre volte.
Ancora tanti auguri Nick e continua così altrimenti ci mancherai...



Qui di seguito gli altri amici che hanno partecipato all'iniziativa, fate un salto a leggere le loro recensioni:

Lazyfish: Mandy
Director's Cult: Drive Angry
La Bara Volante: The Rock
Non c'è paragone: L'ultimo dei templari
La fabbrica dei sogni: Stress da vampiro
Pietro Saba World: Mom and Dad
Cuore di celluloide: USS Indianapolis





lunedì 31 dicembre 2018

Anche libero va bene (2005)

Concludo l'anno con una vecchia recensione, questa volta leggermente corretta, sperando che con l'anno nuovo riuscirò a sfruttare meglio il tempo che mi sarà concesso, per postare cose nuove.
Nel frattempo auguro a tutti una buona fine...



Tommi (Alessandro Morace) ha undici anni e vive con la sorella Viola e il padre Renato (Kim Rossi Stuart)che cerca di crescere i figli alternando attimi di dolcezza a veri e propri scatti d'ira, rivolti soprattutto verso il piccolo Tommaso, per renderlo forte di fronte alle avversità della vita.
Tutto sommato questa particolare famiglia riesce a vivere mantenendo un seppur precario equilibrio. Equilibrio che viene spezzato dal ritorno della madre dei due bambini (Barbara Bobulova), fuggita più volte di casa per soddisfare i suoi desideri sessuali ed economici. 



Kim Rossi Stuart, alla sua opera prima, fa subito centro, con un film intenso e sincero. Per se stesso ha ritagliato il ruolo scomodo di Renato, padre orgoglioso e talvolta irascibile, che prende la vita e i rapporti con gli altri, come una gara da cui deve uscir vincitore e seppur capace di forti dimostrazioni d'affetto, fatica a capire il mondo di suo figlio Tommi che, a sua volta, ancora non riesce (o non può) capire le difficoltà e le problematiche della vita adulta.



Il bambino perciò si rifugia nella sua timidezza e seppur controvoglia, asseconda il padre che lo preferisce a nuotare in piscina piuttosto che a correre sul campo di calcio, come lui preferirebbe.
Il difficile rapporto con il genitore, i primi turbamenti amorosi, l'arrivo di un ragazzino introverso, l'amicizia con il nuovo vicino di casa, di famiglia benestante, sono il mondo in cui Tommaso impara a crescere. A volte scappa sul tetto di casa, camminando sul bordo del cornicione, come a dimostrare il proprio equilibrio e poi dall'alto osserva il mondo, nascosto alla vista degli altri e in questo modo protetto. 



Quando poi torna la madre Tommaso non sa come comportarsi, disilluso dal comportamento della donna, ma allo stesso tempo desideroso del suo affetto. Alla fine dopo l'ennesimo litigio col padre che lo ha cacciato di casa, sarà proprio Tommi a fare il primo passo per riavvicinarsi al genitore, dimostrandosi per una volta più adulto del padre che scoppierà in un pianto liberatorio. Pianto in cui si abbandonerà finalmente anche il bambino, dopo averlo trattenuto per tutto il film, nella sequenza finale sull'autobus, mentre legge la lettera che la madre gli ha lasciato, in una scrittura infantile e piena di errori, simbolo della sua immaturità. 



Tutti i protagonisti hanno dato grande prova d'attore, ma su tutti va sengalato il giovane Alessandro Morace i cui sguardi, le smorfie e la melanconia, arrivano dritte all'animo degli spettatori.