domenica 1 dicembre 2024

I telefilm dimenticati (7) - Good Times

Lo scorso agosto è scomparso John Amos e la maggior parte delle persone lo ricorda per i suoi ruoli in "Il principe cerca moglie", "58 minuti per morire - Die Harder" o "Sorvegliato speciale", invece io lo ricordo soprattutto per una serie ormai dimenticata, che in Italia non ebbe un gran successo, infatti andò in onda solo su reti locali ed è difficile trovare informazioni circa la sua programmazione; sto parlando di "Good Times".


Spin off di uno spin off, "Good Times" infatti deriva dalla serie "Maude", a sua volta è figlia della celebre serie tv "Arcibaldo" da cui derivano anche "I Jefferson".

Andata in onda per sei stagioni, dall'8 febbraio 1974 al 1° agosto 1979 per un totale di 133 episodi, di venticinque minuti l'uno, fu trasmessa dalla CBS, mentre in Italia è passata per lo più per emittenti locali.

"Good Times" è una delle prime serie ad avere come protagonisti solo attori di colore e racconta di una famiglia di estrazione sociale medio-bassa che vive a Chicago e delle loro difficoltà nella vita quotidiana.
I protagonisti sono il padre di famiglia James Evans Sr,  (John Amos), carpentiere continuamente ansioso a causa della loro precarietà; la madre Florida (Esther Rolle) ex governante nella serie "Maude"; il figlio maggiore J.J. (Jimmie Walker), dall'indole artistica e scansafatiche; la secondogenita Thelma (Bern Nadette Stanis) e il più giovane Michael (Ralph Carter), probabilmente il più sensato dei tre.
Altri ruoli importanti sono quelli della vivace amica di famiglia Willona (Ja'net DuBois) e una giovanissima Janet Jackson nei panni di Penny. Il fratello di Florida, che compare in qualche episodio, è invece interpretato da Louis Gosset Jr. In un piccolo ruolo vedremo la futura star della serie "Il mio amico Arnold", Gary Coleman.




La serie era caratterizzata da stereotipi caricaturali e razziali (in particolare nel personaggio del figlio maggiore), ma in realtà era nata, anche per volontà di John Amos e Esther Rolle, per affrontare tematiche politiche e sociali impegnate. A dar voce a questo disagio era spesso il figlio più piccolo Michael. 
Ralph Carter faceva parte assieme ad un pugno di altri attori bambini afroamericani a quella generazione a cui si affidò la responsabilità di dare un'immagine meno stereotipata di se stessi, grazie anche alle lotte per i diritti civili nate un decennio prima.



Quando, come già detto, i produttori preferirono puntare sulle gesta comiche di J.J. (celebre la sua frase "Dinamite!" che gli autori avevano trovato il modo di fargli ripetere ad ogni episodio), Amos e Rolle si lamentarono della cosa anche pubblicamente di questo, così alla fine della terza stagione John Amos venne licenziato, adducendo, nella serie un trasferimento per lavoro del suo personaggio e quindi della morte dello stesso in un incidente stradale. 
Alla fine della quarta stagione anche la Rolle abbandonò la serie, infatti Florida dopo essersi risposata, si trasferì in Arizona, assieme al nuovo marito.
A questo punto prese sempre più importanza Willona, l'amica di famiglia che si trasferisce a casa degli Evans per badare ai figli rimasti soli. 



Quando i produttori si resero conto di aver calcato troppo la mano, decisero di tornare alle origini della serie. Richiamarono così la Rolle che pretese una serie di cambiamenti, come migliori copioni, che il personaggio di J.J. fosse reso più responsabile, e che il personaggio di Carl Dixon fosse eliminato dato che non aveva mai approvato la scelta di introdurlo come suo nuovo compagno nella serie. Chiese inoltre un aumento di stipendio.



La serie si conclude alla fine della sesta serie con l'ultimo episodio che vede un "happy end" per tutti i personaggi.

Ad aprile 2024, Netflix ha trasmesso una serie animata omonima, revival dell'originale, incentrato sull'attuale generazione degli Evans, ma ha avuto critiche quasi unicamente negative sia da parte della critica che dal pubblico sia per lo stile dell'animazione che per le storie spesso caratterizzate da un umorismo offensivo e razzista, oltre che per la quasi totale mancanza di connessione con la serie originale.


(Fonti: Wikipedia, Mymovies)



 

 

martedì 3 settembre 2024

Notte Horror (2024): Ballata Macabra (1976)

Rieccomi, a quasi un anno dal mio ultimo post. Lavoro e vita famigliare mi tengono molto occupato e trovare il tempo per scrivere, soprattutto considerando i miei tempi, è sempre impegnativo, ma prossimamente cercherò di fare di meglio.

Ora, dopo le non doverose, ma sentite scuse, passiamo alle cose serie (serie si fa per dire, eh...)

Quest'anno la consueta rassegna "Notte Horror", normalmente dalle atmosfere, se non allegre, per lo meno scanzonate e leggere, parte con un velo di tristezza, dato che è dedicata alla nostra amica Laura Stella Bisanti, da tutti conosciuta come Arwen Lynch, scomparsa qualche mese fa. Appassionata di cinema, non solo horror e blogger verace, mancherà a tutti noi.

Buona lettura e buoni brividi a tutti:


Ballata Macabra è un film del 1976, diretto da Dan Curtis, che si inserisce nel filone delle case infestate, anche se a differenza della maggior parte dei titoli di questo sottogenere (al quale ho dedicato un paio di post, QUI e QUI), in cui si parla di case invase da presenze spaventose, qui è la casa stessa a essere malefica

Andiamo però con un po' di trama:

La famiglia Rolf (composta da madre, padre, figlioletto e da una vecchia zia) affitta per un prezzo insignificante, un'antica ed enorme casa vittoriana con piscina, dove passare le vacanze estive. Uniche due richieste da parte dei bizzarri proprietari sono di amare la casa quanto la amano loro, e di occuparsi dell'anziana madre che abita nell'attico (in realtà dovranno limitarsi a portarle da mangiare tre volte al giorno).
Inizialmente le cose sembrano andare bene, ma man mano che passa il tempo, qualcosa di malsano si insinua nella famiglia, portando i personaggi ad allontanarsi l'uno dall'altro fino al drammatico finale.




Questo film l'ho "scoperto", un po' per caso, nei primi anni 2000, durate un turno notturno di lavoro in albergo e da allora non smetto di tesserne le lodi, in quanto lo trovo uno degli horror più riusciti di sempre e penso sia addirittura sottovalutato.

Primo punto di forza di questa pellicola è sicuramente la regia, in cui Dan Curtis dimostra tutto il suo talento e che si può spaventare senza l'uso di costosi effetti speciali o di facili jumpscare.
Curtis è un regista specializzato in prodotti per la televisione (possiamo ricordare il bellissimo Trilogia del terrore su un soggetto di Richard Matheson, a cui spesso il regista ha attinto e co-sceneggiato da William F. Nolan, altro collaboratore assiduo di Curtis), ma sia quando a lavorato per il cinema, sia per il piccolo schermo, ha sempre dato prova di essere un ottimo regista, che sa come muoversi, dove posizionare la macchina da presa, come inserire le musiche e soprattutto che sa gestire perfettamente la tensione.



Il film si apre con alcuni componenti della famiglia che si apprestano a fare un primo sopralluogo della casa dove passeranno la vacanze, conosciamo dunque il Ben Rolf, il padre di famiglia (Oliver Reed), La madre Mirian Rolf (Karen Black) e del figlio David (Lee Montgomery). Qui i protagonisti conosceranno i padroni di casa, i fratelli  Allardyce, (Elileen Heckart e Burgess Meredith) che faranno loro l'allettante offerta. Tuttavia la casa, per quanto bella, è enorme e fatiscente e Ben ha qualche dubbio nel dover gestire una magione così grande, ma la Roz Allardyce, dirà che la casa è in grado di provvedere a se stessa e, inoltre, Mirian sembra già essersi innamorata del posto.
Fin da subito dunque le atmosfere sono grevi e si intuisce che qualcosa di misterioso alleggia tra le mura della villa, grazie anche al sapiente uso delle musiche.


Il secondo atto si apre con la famiglia che arriva a stabilirsi nella casa, e in cui conosciamo anche zia Elizabeth (Bette Davis). Qui cominciamo a conoscere anche la casa, con i suoi ambienti e i suoi misteri; all'inizio sono piccole cose, una pianta appassita che ricomincia lentamente a fiorire, una lampadina bruciata che riprende a funzionare, un piccolo cimitero nascosto nel parco della villa, ma un po' alla volta l'aria malsana che permea la casa comincia a influenzare i suoi ospiti così, mente Mirian è sempre più ossessionata dalla casa stessa e dall'anziana signora che vive nell'attico, gli altri componenti della famiglia sono vittime di incubi, follia, malattie e incidenti.


Come si è potuto notare, uno degli altri punti di forza è sicuramente il grande cast:

Oliver Reed, noto per i suoi ruoli in film a cavallo tra gli anni '60 e '70 prima come caratterista in pellicole hottor della Hammer (Il mostro di Londra, L'implacabile condanna), poi in diversi film diretti da Ken Russell (I Diavoli, Tommy). Peccato che sia stato anche un alcolista e che spesso ciò abbia portato a difficoltà lavorative a scontri con colleghi, Questo suo vizio lo porterà ad una morte prematura a 61 anni, a causa di un infarto avvenuto per una scommessa a chi beveva di più avvenuta durante una delle pause, mentre stava girando Il gladiatore. Peccato di nuovo, perché Reed è stato una delle poche note veramente positive nel film di Ridley Scott.

Karen Black è invece una pupilla di Curtis che l'ha diretta anche nel già citato Trilogia del terrore, ma ha lavorato con molti grandi registi internazionali e italiani, da Coppola a Antonio Margheriti, da Bob Rafelson a Ruggero Deodato, passando per Hitchcock, Altman, Hooper e molti altri.

Di Bette Davis non credo ci sia bisogno di tante presentazioni, una delle attrici più note e importanti di Hollywood, vincitrice di due Oscar e prima donna eletta presidente dell'Accademy.

Burgess Meredith è un altro volto noto sia del piccolo che del grande schermo: se molti lo ricordano per il suo ruolo di Mickey nella saga di Rocky, celebri sono anche le sue interpretazioni nella serie tv di Batman, in cui era il Pinguino, che in diversi episodi de Ai confini della realtà (su tutti va ricordato l'episodio Tempo di leggiere)

Non da meno il resto del cast.


Man mano che si prosegue verso il finale, il film si fa sempre più inquietante e si capisce che non potrà esserci un lieto fine. La scena finale svela ulteriormente qual è la vera natura della casa, se qualcuno non l'avesse capito fino a quel momento e risulta essere tanto angosciante quanto triste.

ll film è tratto dal romazo Burnt Offerings (titolo originale della pellicola) di Robert Marasco (che è stato solo recente tradotto per il mercato italiano) ed è stato spesso accostato ad altri film dello stesso genere che sono venuti dopo come Amityville Horror e Shining. In particolare si mormora che lo Stephen King abbia preso più di qualche ispirazione per il suo romanzo.

Ed eccoci dunque alla fine di questa rassegna, durata quasi tutta l'estate. Se vi siete persi gli altri titoli li potete trovare nel bannerone qui sotto e recuperare online. Ringrazio tutti gli amici che hanno partecipato, l'organizzatore dell'evento Obsidian M. e tutti i nostri lettori e vi saluto con un "all'anno prossimo". Nel frattempo spero di riprendere a scrivere un po' più assiduamente, perché quello che manca non sono le idee, ma il tempo.










martedì 12 settembre 2023

Non aprite quel cancello (1987) - Notte Horror 2023: Decima Edizione

 Non c'è estate senza "Notte Horror" per cui, come da diversi anni a questa parte, anche quest'estate la solita cricca di blogger appassionati del genere si è ritrovata per recensire e discutere film di oggi e di ieri.
Questa, inoltre, è stata un'edizione speciale, in quanto è stata la numero dieci e il sottoscritto ha avuto l'onore e l'onere di chiudere i giochi, con un film che spero vi possa interessare e incuriosire e dando l'arrivederci all'anno prossimo, per una nuova e ancora più spaventosa rassegna horrorifica.

 

Anche quest'anno ho pescato un film, che seppure piuttosto conosciuto, non è tra quelli più noti e importanti del genere, semmai un piccolo cult, forse meno spaventoso di molti altri, ma che ha, in qualche modo, lasciato il segno negli amanti del cinema horror.

Ecco a voi: "Non aprite quel cancello"

"Non aprite quel cancello" è un film del 1987 del regista ungherese Tibor Takacs che ne ha diretto anche il sequel.
Glen (interpretato da un giovanissimo Stephen Dorff, qui al suo esordio) scopre una buca nel giardino di casa sua e assieme al suo amico Terry vi trova all'interno un geode, che una volta aperto, rilascia delle scritte sul foglio su cui era posato. I due ragazzini leggeranno quelle scritte, non sapendo che così apriranno un portale che permetterà a spaventosi demoni di arrivare sulla terra.



 "Non aprite quel cancello" ("The Gate" in originale) più che un vero e proprio horror è un film fantastico con qualche sfumatura horror, ma adatta a tutta la famiglia. Infatti, originariamente, la pellicola doveva essere diretta dallo sceneggiatore Michael Nankin, che aveva ideato uno script più spaventoso e violento, con diverse morti, ma la casa di produzione decise di far riscrivere la sceneggiatura allo stesso Nankin, adattandola ad un pubblico più ampio e passò la regia a Takacs che comunque fece un buon lavoro. 

Certo il film visto con gli occhi di bambino fa un altro effetto e qualche brivido in più lo mette addosso, ma tutto sommato anche così la pellicola è abbastanza godibile, grazie ad una regia di mestiere e a degli ottimi effetti speciali, che seppure oggi possano risultare datati, sono sicuramente efficaci e migliori di tanta porcheria che si vede oggi.
La pellicola parte lentamente e per tutta la prima parte non accade molto anche se qualche piccolo brivido non manca, ma è solo dopo quarantacinque minuti che compaiono i primi demoni e da quel momento il film si scatena in tutto il suo potenziale spaventoso.



Bisogna ammettere che la sceneggiatura pesca a piene mani da tutti gli stereotipi horror degli anni ottanta dal giovane protagonista (con la passione per i razzi spaziali) che ha un rapporto conflittuale con la sorella maggiore, all'amico "nerd" appassionata di musica rock al disco con messaggi subliminali se fatto girare al contrario e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia il fatto che l'idea e i mostri siano un evidente riferimento a quel gran genio di H.P. Lovecraft non può che essere un valore aggiunto al film.

Va invece sottolineata la furbata degli adattatori italiani che, come andava di moda all'epoca, hanno tradotto un semplice "The Gate" in "Non aprite quel cancello" in modo di collegarlo con la serie di film di successo di "Non aprite quella porta".




Come più volte già ripetuto uno dei punti di forza sono gli ottimi effetti speciali; ad esempio i piccoli mostri sono in realtà persone in carne e ossa con un costume che grazie ad abili inquadrature e prospettive risultano minuscoli, mentre il demone finale è stato realizzato in stop-motion che non può non ricordare i lavori di Ray Harryhausen.

Bene, non mi resta che salutarvi e ricordarvi di recuperare tutte le altre recensioni che troverete nel bannerone qui di seguito. Arrivederci al prossimo anno.






venerdì 14 aprile 2023

Chiara (racconto)

Questo è un altro racconto caduto nel dimenticatoio ripescato da una vecchia mail, è un lavoro diverso rispetto ai miei soliti racconti, non ricordo se fosse un esercizio di stile o qualcosa fatto per un concorso tematico, ma la cosa che più incredibile è che sembra descrivere abbastanza fedelmente mia moglie, ma è stato scritto almeno tre anni prima di conoscerla e cinque o sei, prima che iniziasse la nostra relazione. 
Devo ammettere che al tempo e ciò si noterà nel racconto stesso, ero un po' prevenuto nei confronti delle persone con qualche chilo in più addosso, ma nel frattempo, non solo ho avuto modo di ricredermi, ma mi sono profondamente innamorato di una di loro.


Chiara si fermò davanti allo specchio nell’entrata di casa. Si sistemò i capelli biondi ricordando quando da ragazzina portava i capelli lunghi e che le piaceva attorcigliarci attorno un dito, vizio che le era rimasto anche ora che li aveva corti, perché non aveva più la pazienza di curarli con l’attenzione che richiedono le lunghe pettinature. Sul viso rotondo costellato da efelidi, dovute alla sua carnagione chiara, che al sole, anziché assumere un colore ambrato, arrossiva fino a darle l’aspetto di un grossa fragola, non c’era traccia di cosmetici. Non amava molto passare le ore tra rossetti, rimmel e phard, si truccava quel tanto che bastava per mascherare le fatiche di una lunga giornata.
In cucina, i suoi genitori e i suoi fratelli stavano cenando. Lei passò a salutarli senza dimenticarsi di Rudy, il suo amato bassotto, al quale ultimamente aveva dedicato più tempo che al suo ragazzo.
Dopo un’ultima occhiata allo specchio uscì rapidamente di casa. Come detto, Chiara, non era una ragazza vanitosa, del resto il suo fisico robusto non le permetteva di esserlo, ma come alla maggior parte delle donne, quando usciva di casa, piaceva essere in ordine. Una t-shirt scura e un paio di jeans erano l’ideale per una serata in compagnia dei suoi amici; semplicità e comodità, come piaceva a lei. Quella sera riuscì a convincere i suoi amici ad andare a mangiare al ristorante cinese, per il quale aveva una vera passione. Probabilmente questa predilezione era nata nell’adolescenza, quando credeva erroneamente, che la cucina cinese fosse tutta ipocalorica. Poi scoprì che c’erano anche diversi piatti fritti e moltissime salse che erano tutt’altro che dietetiche.
Arrivò all’appuntamento in orario, come da sua abitudine. Non era il tipo da arrivare addirittura in anticipo, ma odiava abbastanza i ritardi, per essere sempre puntuale.
Durante la cena chiacchierarono del più e del meno, senza scendere in discorsi particolarmente impegnativi. Chiara era così, simpatica, divertente e molto sensibile, ma non le piaceva parlare di se stessa e dei suoi problemi con persone con le quali aveva poca confidenza e, anche se quella sera era in compagnia dei suoi amici, non con tutti si sentiva libera di confidare le sue preoccupazioni. Se aveva bisogno di sfogarsi, di solito lo faceva con il suo ragazzo, ma anche lui non aveva accesso ai segreti più intimi che Chiara conservava gelosamente.
Gli amici però si fecero una grossa risata quando Chiara raccontò loro di un incubo che la tormentava da qualche tempo a quella parte, e cioè quello in cui veniva inseguita da una statua di Boccioni. Tale incubo derivava dall’inconsueta paura, che Chiara aveva, di rimanere rinchiusa all’interno di un museo senza la possibilità di uscire. Ancora di più la spaventavano i musei di arte moderna, con tutte quelle sculture e dipinti dalle forme astruse e minacciose.
Dopo cena, tutti assieme andarono al cinema. Questa non era una vera passione, ma a Chiara piaceva andare al cinema, in compagnia degli amici o del moroso e poi discutere del film appena visto. Videro un film romantico e Chiara si commosse, ricordando quel ragazzo che le aveva spezzato il cuore. Ma ora aveva una persona che la amava e lei era felice.
Più tardi, mentre si infilava a letto, nella sua camera, le cui pareti erano coperte dalle numerose cartoline che aveva raccolto in giro per il mondo, e sul cui pavimento risaltava anacronisticamente una cassetta di mele che aveva portato a casa dal Trentino soltanto qualche giorno prima, Chiara ripensò a tutto ciò e sorrise. Era circondata da persone che le volevano bene, aveva viaggiato molto e fatto esperienze che la maggior parte della gente che conosceva, mai avrebbe fatto. C’era solo una cosa che ogni tanto tornava a disturbarla, ed era il pensiero del suo fisico abbondante; ormai aveva imparato ad amare il suo corpo e quasi non faceva più caso agli sguardi e alle risate che qualche idiota ancora le rivolgeva, ma ogni tanto, come quando era bambina, sognava di essere una farfalla.

martedì 4 aprile 2023

La corsa (racconto)

Scartabellando alcune vecchie mail ho trovato dei vecchi racconti che ancora non avevo pubblicato: ecco il primo di essi, chiaramente ispirato da "La lunga marcia" di Stephen King sotto lo pseudonimo Richard Bachman.
Spero possa piacervi.



Salvatore continuava a correre anche se ora il suo passo era incerto e caracollante; ormai la meta era vicina e soltanto grazie all’istinto di sopravvivenza era riuscito a proseguire, dopo che i suoi compagni erano tutti caduti, uno dopo l’altro, durante il massacrante percorso. Erano partiti circa tre settimane prima da Sitka, in Alaska e dopo un percorso di quasi 5600 km, in cui avevano attraversato pressoché un quarto degli interi Stati Uniti, ora stava per giungere, da solo, a Key West, nell’assolata Florida.
La micidiale corsa era stata organizzata dal direttore di un grande penitenziario, con il benestare del governo e del Presidente, a causa dell’enorme sovraffollamento della prigione. Al momento della gara si contavano quasi cinquantamila detenuti, contro i trentamila che la struttura poteva normalmente contenere. Le insurrezioni erano ormai all’ordine del giorno ed era sempre più difficile tenerle sotto controllo, motivo per cui il direttore aveva pensato ad un sistema per liberarsi della maggior parte dei prigionieri, in maniera “più o meno” legale. Aveva dunque organizzato questa folle corsa, assicurando immediata libertà a chiunque fosse riuscito ad arrivare sano e salvo al traguardo, ma naturalmente si era anche preoccupato che a fine gara, arrivasse meno gente possibile. I detenuti che avessero deciso di partecipare dovevano seguire un percorso obbligato, controllati costantemente da militari armati; ogni tentativo di fuga sarebbe stato punito con la fucilazione immediata. In ogni caso, a tutti i carcerati venne installato un microchip, così se anche qualcuno fosse riuscito a eludere la sorveglianza, sarebbe stato immediatamente rintracciato e giustiziato. Inoltre, come rifornimento, erano elargiti solamente mezzo litro d’acqua e una tavoletta di cioccolato al giorno; ma la cosa più devastante era che veniva concesso solamente un’ora di riposo, ogni ventiquattro di corsa. Non ci si poteva fermare, non ci si poteva ritirare, non era permesso ostacolare gli altri concorrenti, ogni trasgressione alle regole veniva punita con una tempestiva esecuzione; la sola cosa che si potesse fare era correre e resistere, fino alla fine.
Sui cinquantamila detenuti, ben quarantamila avevano deciso di partecipare alla massacrante corsa; dopo tutto la maggior parte di loro avrebbe dovuto farsi almeno trent’anni di galera, e la prospettiva di ottenere la grazia era più allettante rispetto alla consapevolezza dell’enorme fatica che li aspettava per ottenerla. Dopo il primo giorno, le guardie di scorta fucilarono circa duemila carcerati, la maggior parte dei quali perché aveva tentato di fuggire, altri perché erano crollati o si erano arresi. Il giorno seguente, a venire uccisi furono altri cinquemila detenuti e altri settemila il terzo giorno. Poi, anche a causa delle morti dovute alla fatica e alle imprudenze, i corridori cominciarono a capire che ci voleva una strategia, non era sufficiente correre e basta e per quanto possibile, dovevano spalleggiarsi e aiutarsi a vicenda. Dopo queste riflessioni, per diversi giorni, il numerò di decessi calò vertiginosamente: appena un migliaio in quattro giorni. Tuttavia questa situazione non durò molto, le rivalità e le tensioni all’interno del gruppo erano troppo forti; ognuno voleva prevalere sull’altro, così dopo due settimane dall’inizio della mega maratona (così era stata soprannominata dai media che seguivano la vicenda con macabro voyerismo), si contavano quasi trentamila morti e all’ultimo giorno di gara i sopravvissuti erano non più di cinquecento.
Salvatore stava scontando una pena di vent’anni per aver ucciso un tizio in una lite nel parcheggio di una discoteca. Lui non era tipo da invischiarsi in quel tipo di cose, ma odiava farsi mettere i piedi in testa, e quando quel ragazzo, che avrà pesato più di un quintale, aveva cominciato a provocarlo in pista da ballo, non si era tirato indietro. Sapeva che molto probabilmente avrebbe avuto la peggio, ma a lui interessava dimostrare che nessuno poteva permettersi di prendersi gioco di lui, solo perché non era grande e grosso.
Poi però le cose erano andate diversamente da come se l’era immaginate ed era bastato un pugno alla gola per far si che il ragazzo morisse soffocato. Da quel giorno erano passati già cinque anni e durante tutto quel periodo, in carcere aveva subito ogni genere di abuso, fisico, sessuale e psicologico e quando aveva deciso di farla finita gli si era presentata l’occasione della corsa, così non se l’era fatta sfuggire. Ora, all’ultimo giorno di gara, era rimasto tra i pochi sopravvissuti, ma si sentiva sempre più esausto e temeva che sarebbe crollato proprio ora che stava per raggiungere il traguardo. Quell’estenuante prova lo aveva ridotto a essere l’ombra di se stesso, come se non fosse stato già abbastanza magro; le gambe, che ormai si muovevano da sole, lo reggevano per miracolo, ed era consapevole che se si fosse fermato a riposare un’altra volta, non sarebbe più riuscito a mettersi in piedi, per cui continuò ad arrancare faticosamente nonostante non dormisse ormai da più quasi tre giorni.
Davanti a lui, un giovane asiatico si bloccò improvvisamente in mezzo al percorso e si sedette a terra; non fece nemmeno in tempo a superarlo che una guardia lo raggiunse e gli sparò alla testa. Salvatore passò oltre indifferente; qualche giorno prima probabilmente si sarebbe perlomeno chiesto chi era quel ragazzo, se lo conosceva, se durante le detenzione aveva avuto modo di parlarci o di farci amicizia, ma in questo momento, nulla di tutto ciò aveva importanza, l’unica cosa che contava era arrivare alla fine. Improvvisamente, il suo sguardo perso si fece lucido, c’era qualcosa di diverso in fondo alla strada; la gente che fino a quel punto aveva seguito la maratona, era sempre rimasta diligentemente a bordo strada, controllata dalla polizia in modo che non interferisse con la gara, ma ora sembrava che fossero tutti ammassati, lasciando solo uno stretto corridoio, attraverso il quale sarebbe dovuto passare.
Il traguardo era vicino.
Entrò in città accolto da una folla festante che lo incitava e incoraggiava, anche se lui non era del tutto consapevole. Solo quando, oltre la piazza principale vide la linea del traguardo, come mosso da un improvvisa forza misteriosa, accelerò il passo, senza però tener conto delle sue gambe esauste.
Un crampo al polpaccio destro gli fece perdere l’equilibrio, facendolo finire a terra; ma Salvatore di tutto ciò non si rese conto, non si rese conto del suo volto che picchiava contro il pavimento in porfido, non si rese conto dell’arrivo delle guardie e non si rese conto di quell’ultimo colpo di fucile. La sola cosa che Salvatore sapeva, era che ce l’aveva fatta, aveva passato il traguardo, aveva vinto e ora era finalmente libero.

martedì 26 luglio 2022

Notte Horror 2022 - Pesce d'Aprile (1986)

Care amebe putrescenti, ormai come da tradizione decennale, anche quest'anno i blogger più oscuri della rete tornano a mettere qualche brivido a torrida stagione calda. Del resto che estate sarebbe senza "Notte Horror"?
Prima di proseguire con la recensione del film scelto per questa edizione vi ricordo di recuperare gli appuntamenti con gli altri blogger delle scorse settimane e con quelli a seguire a partire da Lucius Etruscus e il suo Zinefilo che più tardi parlerà del secondo capitolo della saga di Darkman.





Il titolo che invece ho selezionato io è "Pesce d'aprile" del 1986 diretto da Fred Walton, un film che, probabilmente, non molti ricorderanno; del resto tra i molti slasher dell'epoca, questo non è certo tra i più memorabili. Eppure qualcosa di interessante c'è, ma come al solito partiamo con la trama:

Muffy St. John decide di invitare alcuni suoi compagni, per festeggiare le vacanze di primavera, nel fine settimana che precede il Primo d'Aprile, su un'isola dove si trova la tenuta che ha appena ereditato. Il weekend parte all'insegna dell'allegria, nonostante un incidente iniziale, del divertimento e degli scherzi, ma ben presto i ragazzi dovranno fare i conti con uno spietato killer intenzionato a farli fuori uno alla volta.



Insomma anche il soggetto non è certo tra i più originali, ma è nello svilupparsi della vicenda che il film ha uno dei suoi punti di forza, perché se la storia è tra le più abusate e la parte puramente slasher è piuttosto debole, i personaggi, per quanto stereotipati, hanno un loro spessore e l'evolversi degli eventi è comunque interessante.

Buona la regia di Fred Walton che dirige con mestiere e riesce a portare a casa un buon prodotto, forse perfino sottovalutato, proprio perché spacciato per slasher puro, quando in realtà il film viaggia su altri binari, ma ciò si capisce soltanto alla fine, con quel doppio colpo di scena che sorprende lo spettatore, ma chiarisce anche il perché si vede così poco sangue.
Del resto, lo stesso Walton ebbe a dire: "La tragedia, credo, o la grande delusione è stata che la Paramount non sapeva come pubblicarlo se non come tipico film slasher. Quindi la maggior parte del pubblico si aspettava di vedere qualcosa che loro non stavano andando a vedere".
Va detto che i produttori del film sono gli stessi di alcuni dei sequel di "Venerdì 13" per cui, probabilmente cercarono di ripetere il successo della saga di Jason Voorhees, senza però riuscirci e danneggiando invece il lavoro di Walton.




Volendo azzardare un po', nella pellicola si può vedere, dato il soggetto, una sorte di "Scream" ante litteram, certo molto più soft e meno raffinato, ma che in qualche modo anticipa il linguaggio meta cinematografico dell'opera di Craven e di altri film più moderni.

Il cast è composto da attori più o meno noti e tutto sommato se la cava. Amy Steel, che qui interpreta Kit, è stata scelta su suggerimento del produttore Frank Mancuso Jr, dopo che questa aveva partecipato a "Venerdì 13 - L'assassino ti siede accanto", mentre Thomas F. Wilson (Arch) è noto soprattutto per il suo ruolo di Biff nella saga di "Ritorno al futuro"




Attenzione seguiranno possibili spoiler:
Secondo le intenzioni del regista, il film sarebbe dovuto finire con Skip che torna all'isola dopo che tutti sono partiti e uccide la sorella per tenersi tutta l'eredità, ma la produzione ha voluto un finale meno cattivo. Un finale simile, compare invece nel romanzo di Jeff Rovin che accompagnava il film nell'uscita nelle sale.

"April fool's day" è stato anche il titolo di lavorazione di un altro film dell'epoca, vale a dire "Jolly Killer", ma quando i produttori si accorsero che che la Paramout stava uscendo con una pellicola con il medesimo titolo, lo cambiarono in "Slaughter High"



Nel 2008 ne è stato prodotto un remake, uscito direttamente in dvd, che non ho avuto modo di vedere, ma di cui non si parla un granché bene

Il mio consiglio è dunque di recuperare sicuramente questo film, ma di essere consapevoli che ci si trova di fronte ad uno slasher atipico, con poco sangue, ma con molte buone idee e un finale che vi sorprenderà, in un modo o in un altro.





sabato 28 maggio 2022

I cartoni dimenticati (6) - Sport Billy

Dopo aver parlato solo di anime, per questa puntata de "i cartoni dimenticati", ho ripescato una serie che proviene dall'altra parte dell'oceano, prodotto dalla Filmation , la casa di produzione che ci ha regalato cosine come come He-Man e i dominatori dell'universo, Blackstar, The Original Ghostbusters (quelli con il gorilla) e tanti altri prodotti.

Erano i magnifici anni 80 e in Italia spopolava la bibita all'arancia Billy (se siete stati ragazzini in quegli anni e quasi impossibile che non ne abbiate bevuto almeno un brick) e proprio in quel periodo, più precisamente nel 1981, dall'America arrivò questo cartone animato, dalla breve durata e che presto sparì dai nostri palinsesti.


Sto parlando di Sport Billy, serie animata composta da due stagioni, una di sedici e una di dieci episodi come già detto prodotta dalla Filmation nel 1979 e trasmesso in patria a partire dal 1980 dalla NBC, mentre qui da noi fece il suo esordio su Canale 5 all'interno del contenitore Bim Bum Bam.


Sarà perché il cartone era a tema sportivo e il suo protagonista divenne una mascotte usata dalla FIFA, mentre il succo Billy aveva un immagine che ricordava Naranjito, la mascotte dei mondiali di Spagna '82, la mia mente d'infante aveva sempre associato i due prodotti che in realtà non avevano nulla a che fare l'uno con l'altro.


Ma veniamo alla trama: Sport Billy è un ragazzo che vive su Olimpo, un pianeta gemello della terra sul lato opposto del sole, dove tutto gli abitanti sono simil-dei atletici e sportivi. Un giorno il giovane viene mandato sulla terra per portare lo spirito sportivo e il gioco di squadra e combattere la malvagia regina Vanda, che assieme al suo scagnozzo Sipe, vuole distruggere tutti gli sport. 

Billy ha anche due compagni che lo aiutano nella sua missione: la giovane Lilly e il cane parlante Willy. Inoltre il ragazzo può contare sulla sua Omni-Sack, una borsa da palestra che può cambiare dimensione e dalla quale estrae, di volta in volta, l'attrezzatura sportiva di cui ha bisogno per vincere la sfida di turno. I tre eroi viaggiavano nel tempo e nello spazio nella loro astronave, che ricordava vagamente una di quelle vecchie sveglie dei nostri nonni.


Il succo Billy è sparito agli inizi degli anni 90, si mormora perché contenesse sostanze non in linea con le normative UE, ma non vi è nulla di certo. Sport Billy invece è proprio sparito dalle tv e dalle memorie di molti di noi; tuttavia il franchising ha prodotto anche un videogame portatile, un album musicale del 1982, una serie a fumetti e una versione del Subbuteo. E voi vi ricordate qualcosa di tutto ciò?