lunedì 20 settembre 2021

Joker (2019)

 "Una risata vi seppellirà", recitava una vecchia frase attribuita all'anarchico Bakunin e poi apparsa sui muri parigini del '68 e quasi un decennio dopo in Italia durante le proteste studentesche e politiche della seconda metà degli anni 70, prima degli anni di piombo. E proprio questo motto, potrebbe essere la perfetta frase di lancio di "Joker" di Todd Philips.


Arthur Fleck è un pover'uomo, sconfitto dalla vita, che vive con la madre malata, della quale si prende cura con amoroso affetto, che sogna di diventare cabarettista, ma che si deve accontentare di fare il clown per un agenzia di intrattenimento. Affetto da una forte depressione, Arthur soffre di un particolare disturbo che fa si che egli scoppi in fragorose e incontrollabili risate, specie in momenti poco opportuni e di forte tensione. Dopo una serie di batoste che lo spingono sempre più a fondo, Arthur raggiunge il punto di non ritorno e lentamente inizia la sua trasformazione in Jocker, quello che poi sarà l'acerrimo nemico di Batman.


Checché se ne dica "Joker" è un cinecomic, certamente ben confezionato e che punta più sulla drammaticità del personaggio e sul messaggio sociale, per quanto non nuovo e stra-abusato, che sulla parte action, qui quasi del tu assente, ma che è comunque figlio del mondo delle nuvole parlanti, dalle quali attinge a piene mani, così come dal mondo dei cinecomics.
Un cinecomic più adulto dunque, grazie anche al personaggio stesso, che non avendo delle origini ben chiare, permette di scrivere storie più interessanti.



Philips scrive una sceneggiatura efficace, certamente non particolarmente originale (del resto la maggior parte dei villains  nascono da uomini comuni che hanno perso la sfida contro la cattiveria della società nei confronti dei più deboli), ma che crea empatia con il protagonista e se si riesce a creare empatia con un personaggio negativo, vuol dire che si è fatto un buon lavoro. 
Da sua stessa ammissione, Philips si è ispirato all'opera di Martin Scorsese e i riferimenti a film come "Toro Scatenato", "Re per una notte" e "Taxi Driver" sono più che evidenti.


Come Travis Bickle, Arthur Fleck è un uomo alienato, che vive ai margini della società, incapace di creare rapporti sociali e che decide di farsi giustizia da solo e come Robert Pupkin cerca una celebrità di cui in realtà non è capace e che otterrà per motivi diversi dalle sue abilità. 

La fisicità di Joaquin Phoenix, la presenza di De Niro nel ruolo dell'anchorman idolatrato da Fleck/Pupkin, sono tutti riferimenti al cinema di Scorsese.


Tuttavia Philips, non so se per scelta voluta o per sua caratteristica professionale, non approfondisce i suoi personaggi a partire dallo stesso Fleck, la cui infanzia abusata è appena accennata e la sua follia è causata da una madre altrettanto pazza e da una società in cui i ricchi sono tutti pezzi di merda e i poveri sono brutti, sporchi e cattivi. Insomma, anche qui i cliché si sprecano.

A dare la giusta spinta al film è l'ottima interpretazione di Joaquin Phoenix, che si cala mente e corpo nel protagonista, arrivando a perdere ben venticinque chili per essere più convincente. Ma del resto non scopriamo qui la sua bravura, no?


Altro punto a favore del film è la rappresentazione di Gotham, una città facilmente riconoscibile (come già aveva fatto Donner con la Metropolis del suo "Superman") e per questo più reale e viva, che contribuisce a sporcare l'atmosfera del film.

In conclusione si può parlare di un gran bel film, con molti pregi e non pochi difetti, che però funziona bene, grazie a qualche bella intuizione del suo autore, ma soprattutto del protagonista che ci regala un altro personaggio iconico che verrà a lungo ricordato.