mercoledì 19 febbraio 2020

I telefilm dimenticati (5) - La Gang degli Orsi

Il baseball è lo sport nazionale americano ed è stato al centro di diverse trame cinematografiche. Tra i numerosi titoli, uno dei più popolari è stato Che botte se incontri gli "Orsi" (The Bad News Bears) del 1976 che aveva come protagonisti Walter Matthau e Tatum O'Neal.
Il film racconta dell'ex giocatore Morris Buttermaker (Matthau), che diventato un allenatore alcolizzato, viene reclutato per addestrare una squadra della lega giovanile, ma soltanto quando nel club entrerà a far parte la lanciatrice Amanda Whurlizer (Tatum O'Neal), la scapestrata squadra comincerà a vincere partita dopo partita.




Grazie al successo della pellicola, verranno realizzati due sequel di minor successo (Gli Orsi interrompono gli allenamenti e Gli Orsi vanno in Giappone) e nel 1979 di una serie tv.
Nel ruolo che fu di Matthau c'è Jack Warden, che qui diventa un ex addetto alle pulizie di una piscina, che per evitare la prigione accetta di allenare la mal assortita squadra di baseball degli Orsi.



La Gang degli Orsi fu prodotta dalla CBS per un totale di 26 episodi, di cui 23 della prima stagione e tre della seconda, poi interrotta a causa dei bassi ascolti. Ciò fu dovuto sia per una trama meno avvincente rispetto al film e più incentrata sulla commedia che sugli aspetti drammatici, sia per il continuo cambio di orari nel palinsesto televisivo.



La serie arrivò per un breve periodo anche in Italia nel 1980, trasmessa in emittenti locali.
Tra il cast, nel ruolo del piccolo Regi, c'era Corey Feldman, futura star di film per ragazzi come I Goonies, I Gremlins, Stand by me e molti altri.
Altra cosa da segnalare è che come sigla del telefilm è stata usata l'aria Toreador de La Carmen di Bizet.

Fonti: Wikipedia e Serietv draconia

martedì 4 febbraio 2020

Perché Sanremo è Sanremo (e non tutto è da buttare)

Stasera inizia il Festival di Sanremo, trasmissione che,nel corso degli anni ha spesso portato a discussioni, critiche e polemiche. Io, come sempre, lo seguirò in maniera distratta con la speranza (troppo spesso vana) che ci sia qualche canzone che soddisfi i miei padiglioni auricolari.
Qui di seguito andrò a riproporre alcuni momenti del passato che ritengo degni di essere ricordati, al di là della classifica finale.

Buon ascolto.

Un'avventura - Lucio Battisti


Perchè Battisti è Battisti, qui alla sua prima e unica partecipazione al Festival come concorrente.
In coppia con Lucio (in quegli anni ogni canzone veniva presentata da due interpreti) c'era il grande Wilson Pikett.


Radio Ga Ga - Queen


Tra gli ospiti internazionali di quell'anno, un posto d'onore lo ebbero i Queen che sull'onda del successo del brano Radio Ga Ga, arrivarono anche in Italia. Tuttavia non mancarono le polemiche poiché la Rai impose ai suoi ospiti l'uso del playback; Freddie Mercury che avrebbe voluto esibirsi dal vivo, per protesta per quasi tutta l'esibizione tenne il microfono lontano dalla bocca, rendendo così evidente l'avvilente trucco voluto dagli organizzatori.


Grande Joe
- Banco del Mutuo Soccorso



Nell'anno (il 1985) del clamoroso successo di Luis Miguel col brano "Noi, ragazzi di oggi", anche il Banco di Mutuo Soccorso, una delle band italiane più famose (assieme a PFM, Area e Orme) nel panorama prog. nazionale e internazionale.
Qui la band si allontana ulteriormente dalle sonorità progressive degli album degli anni settanta, in un percorso iniziato con i primi due album degli anni 80, puntando su brani più semplici e diretti, ma sempre di grande valore.


Almeno tu nell'universo
- Mia Martini


Il 1989 vede il ritorno al successo e alle esibizioni pubbliche di Mia Martini che, a causa di maldicenze sul fatto che lei portasse sfortuna, anni prima fu costretta a ritirarsi dalle scene.
Con questo splendido brano, scritto ben diciassette anni prima da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, vinse più che giustamente il premio della critica, anche se nella classifica finale si classificò al nono posto dietro anche a Vasco di Jovanotti ed Esatto di Francesco Salvi (sic!)


Pitzinnos in sa gherra - Tazenda


Nell'anno precedente i Tazenda erano in gara assieme a Pierangelo Bertoli con la canzone "Spunta la luna dal monte" classificandosi al quinto posto; nel 1992 parteciparono da soli portando questo brano, che parla dei bambini vittime delle guerre, scritto e cantato in sardo logudorese, con una piccola collaborazione di Fabrizio De André.



Signor Tenente
- Giorgio Faletti





Nel 1994 erano ancora fresche nella mente di tutti le stragi di Capaci e di Via D'Amelio avvenute due anni prima e così la canzone di Giorgio Faletti, che racconta la vita dura di poliziotti e carabinieri, vista dal punto di vista di uno di loro, con riferimenti agli attentati del 1992, colpisce duramente il pubblico di Sanremo. Il brano, seppure più recitato che cantato, si classifica meritatamente al secondo posto e resterà uno dei momenti più alti della storia del Festival.


Sulla porta - Federico Salvatore


Nel 1996 piomba sul Festival, come un fulmine a ciel sereno, questo brano di Federico Salvatore che dato la tematica delicata, si può dire che abbia scosso non poco la kermesse. Parlare così esplicitamente di certi argomenti, specialmente in prima serata sul primo canale nazionale, era ancora qualcosa di tabù (o quasi), basti far caso a come Pippo Baudo presenta il brano, senza mai pronunciare le parole omosessualità, omosessuale o gay, una vera vergogna. Un brano che a mio avviso avrebbe meritato molto di più.


Papa Nero
- Pitura Freska


Un gruppo che canta in veneziano a Sanremo, incredibile, ma vero.
Una delle pochi brani del gruppo di Marghera che non fa riferimento al Venezia o al Veneto, ma che fa riferimento ad una delle profezie di Nostradamus che vuole che la fine del mondo sia anticipata dall'elezione di un Papa proveniente dall'Africa.

Chiudo qui la mia selezione di momenti storici di Sanremo, canzoni da menzionare ce ne sarebbero state molte altre, ma come sempre ho dovuto fare delle scelte. Se volete segnalarmi i brani che voi ricordate con più affetto la cosa mi farà molto piacere.
Buon Festival a tutti, anche a chi non perderà un minuto per seguirlo.





domenica 2 febbraio 2020

Dylan Dog 401: L'alba nera - Dylan è morto, Dylan è rinato

Dove eravamo rimasti? L'ultima volta che ho parlato di Dylan Dog è stato a gennaio dell'anno scorso con il numero 388, il secondo del "ciclo della meteora". La mia intenzione era quella di recensire questa serie, numero per numero, mese per mese, fino ad arrivare al tanto atteso nuovo inizio; cosa che per svariati motivi non sono riuscito a fare, chiudiamo dunque questa fase e ripartiamo da zero, anzi da 401.



Va detto, innanzitutto, che per quanto questo nuovo albo possa funzionare anche come numero a se stante, soprattutto per chi dovesse cominciare a leggere Dylan Dog solo ora, sarebbe meglio contestualizzarlo in un'ottica più ampia, cioè sia come nuova ripartenza dopo "l'apocalisse" dei numeri precedenti, sia come primo capitolo di un primo ciclo che porterà il personaggio e il mondo dylandoghiano a qualcosa di nuovo e diverso da quello che i lettori storici e nostalgici erano abituati.
Dunque, per un giudizio più obiettivo, sarebbe meglio aspettare per lo meno questi primi sei numeri del già annunciato mini ciclo.



"L'alba nera" è si un nuovo inizio, ma è anche una sorta di remake/reboot dello storico numero 1, "L'alba dei morti viventi", che riprende vecchi e nuovi personaggi con piccole, ma sostanziali differenze per caratterizzare il Dylan voluto da Roberto Recchioni.
Rivediamo dunque il caro vecchio Bloch, qui nel nuovo ruolo di soprintendente (che ironia no?), il misterioso Hamlin di Safarà, Xabaras, qui per ora come semplice spettatore, ma anche l'ispettore Carpenter e Rania con una storia e un passato leggermente diversi da come li avevamo lasciati nel numero 399, cosa che non mancherà di sorprendere i vecchi lettori. Infine abbiamo Gnaghi, personaggio che rimanda direttamente alle origini di Dylan Dog, ispirato a quel Francesco Dellamorte di Sclaviana memoria, protagonista del romanzo "Dellamorte Dellamore" e dell'omonimo film.
E Groucho? Beh, mi sa che per lui dovremmo aspettare per capire le scelte di Casa Bonelli.
Per quanto riguarda Dylan è sicuramente diverso da quello ideato da Sclavi (sembra più sicuro di sé ed è più chiacchierone), ma allo stesso tempo ne ricalca alcuni particolari (il citazionismo, l'essere un playboy...).



Come dicevo prima, è però presto per dare un già un giudizio sul personaggio, bisogna aspettare un po' e vedere come evolve.
La domanda fondamentale è invece un'altra: era necessaria questa nuova partenza?
Per quanto mi riguarda la risposta è nì. Sicuramente Dylan Dog aveva bisogno di una bella rinfrescata e di qualche novità, ma questo già da un bel po' tempo, direi ancora da prima che Recchioni ne prendesse la cura editoriale, ma se il cambiamento fosse stato più graduale probabilmente sarebbe stato accettato meglio anche dai lettori più tradizionalisti (o almeno da parte di essi) e avrebbe evitato alcune scelte e alcune storie che sono risultate un po' forzate e stonate.
Ora si può ripartire andando anche a riprendere alcune di quelle caratteristiche di cui molti hanno lamentato l'assenza da molti anni a oggi.



Prima di passare alle conclusioni non si può non fare due parole sull'aspetto tecnico-artistico dell'albo, che vede ai disegni il magnifico Corrado Roi. Splendide le sue tavole e perfette per la storia sceneggiata da Roberto Rercchioni, con i suoi chiaro scuri e le sue sfumature che ben delineano sia i personaggi che le scene d'azione.
Molto bella anche la copertina, disegnata come sempre da Gigi Cavenago e dai riflessi laminati, peccato per quel bollino blu che indica il nuovo inizio che poteva sicuramente essere indicato in maniera diversa.
Inoltre, i già più volte ricordati nostalgici, non potranno non apprezzare la terza pagina che rimanda alla stessa dei primissimi albi.



"L'alba nera" è, a mio avviso, un albo interessante, ben scritto e sceneggiato (non manca qualche stonatura, ma tutto sommato ci può stare) che può piacere sia ai vecchi appassionati, i quali rimarranno sicuramente sorpresi dal finale d'episodio, che sappiano però accettare i cambiamenti, ma anche a chi si avvicina ora alla lettura dell'Indagatore dell'incubo.
Per me dunque un albo pienamente promosso, sperando che mantenga le promesse e le premesse fin qui gettate.