Ancora un vecchio racconto:
Al ritorno da una serata passata in compagnia, un tale che stava guidando su una strada secondaria, quando nota sul ciglio della strada una bella ragazza che faceva l’autostop. Dopo un attimo di esitazione decide comunque di fermarsi e di darle un passaggio.
Al ritorno da una serata passata in compagnia, un tale che stava guidando su una strada secondaria, quando nota sul ciglio della strada una bella ragazza che faceva l’autostop. Dopo un attimo di esitazione decide comunque di fermarsi e di darle un passaggio.
Durante il tragitto la ragazza si dimostra simpatica e
loquace, così i due chiacchierano molto.
Ad un certo punto lei dice di aver freddo, così l’uomo le
presta la sua giacca.
Dopo qualche chilometro la ragazza si fa lasciare nei pressi
di una casa isolata, e dopo aver salutato se ne va. A questo punto lui si
accorge che la giovane ha tenuto con se la sua giacca, ma decide di tornare a
prenderla il giorno seguente, così avrebbe avuto una scusa per rivedere la
bella autopista.
Il giorno dopo tornò dunque a casa della ragazza e quando
suonò alla porta, ad aprirgli venne un anziana signora. Lui disse di essere
venuto a riprendersi la giacca che aveva prestato la sera precedente alla
figlia. La signora disse che non era possibile poiché la figlia era morta da
cinque anni. Il ragazzo sbigottito si fece indicare dov’era sepolta la ragazza.
Quando arrivò alla tomba, il ragazzo si bloccò impietrito, la foto sulla lapide
era proprio della giovane alla quale aveva dato un passaggio la notte prima, ma
ciò che gli fece gelare il sangue nelle vene fu un’altra cosa.
Appoggiata sulla lastra tombale c’era la sua giacca a cui
era stato appuntato un biglietto che diceva: “GRAZIE”
Questa è una delle leggende metropolitane più diffuse in
assoluto, che credo ognuno di noi si sia sentito raccontare o abbia raccontato
almeno una volta in vita sua, magari con qualche piccola differenza, ma i cui
punti fondamentali rimangono gli stessi. E così l’ho sempre presa io; come una
storia da narrare durante una serata passata tra amici, per spaventare le
ragazze con la scusa poi di abbracciarle voluttuosamente, quando queste ci
sarebbero saltate addosso impaurite.
Mi sbagliavo. Ora, dopo quanto mi è accaduto non più di due
mesi fa, credo che certe storie non siano semplicemente veritiere, ma reali;
fatti veri accaduti realmente.
Tutto ha avuto inizio lo scorso 17 agosto. Quella mattina
ero stato nel nuovo appartamento, dove mi sono poi trasferito con Giulia, per
controllare che i lavori proseguissero regolarmente secondo gli accordi presi
col costruttore. L’appartamento si trova a meno di un chilometro dalla casa dei
miei genitori, in un quartiere
costituito da un'unica via, che a ferro di cavallo, gira attorno ad un
piccolo nucleo di palazzine e case a schiera.
Avendo ancora alcune cose da sistemare, a mezzogiorno mi
preparai un paio di panini, tirai fuori l’unica una birra che avevo in un frigo
ancora vuoto, e mi sedetti in terrazza a consumare il mio frugale pranzo. Il
sole picchiava con forza, in un cielo sgombro da nuvole, sul quartiere
silenzioso.
In quel momento, soltanto una mezza dozzina tra appartamenti
e villette erano abitati, mentre altrettante abitazioni si sarebbero riempite
da li a poco, quando i padroni di casa sarebbero tornati dalle ferie. La maggior
parte degli edifici era dunque vuota e così, in quel primo pomeriggio di un
giorno di metà agosto, l’unico rumore che si poteva udire in tutto il quartiere
era la voce della giornalista televisiva, proveniente da una finestra aperta in
qualche angolo nascosto.
Tutta quella quiete, insieme allo stomaco sufficientemente
sazio, mi fecero cadere in un breve, seppur profondo, stato di sonno.
Quando mi risvegliai erano quasi le due; il sole continuava
imperterrito a soffocare l’aria e la gola mi bruciava come se avessi
inghiottito dei pezzi di vetro. La poca birra rimasta nella bottiglia era ormai
imbevibile, per cui mi decisi a finire gli ultimi lavori per poi andare al
Feeling a farmi un paio di spritz.
Salii in auto e accesi immediatamente l’aria condizionata
per far fronte alla pesante cappa di caldo che si era formata all’interno
dell’abitacolo.
Lasciando la via, con un gesto della mano salutai alcuni
ragazzini, scesi in strada a giocare a rincorrersi con i gavettoni, quindi
svoltai a sinistra per uscire dal quartiere e mi accodai ad una Punto rossa
ferma allo stop.
La strada era completamente deserta, ma l’auto di fronte a
me non accennava a sgombrare l’incrocio; stavo per suonare un colpo di clacson,
quando dal finestrino del conducente sbucò una mano femminile che mi fece cenno
di affiancarmi.
Alla guida c’era una signora di circa quarant’anni; i
capelli biondi e cortissimi le conferivano un aspetto quasi androgino, mentre
gli occhi erano nascosti da un paio di scuri occhiali da sole.
“Ha bisogno di aiuto?” le chiesi abbassando il finestrino
dal lato del passeggero.
Lei si tolse gli occhiali e mi sorrise imbarazzata.
“Veramente si” rispose “sto cercando una vecchia villa con
un grande cancello in ferro…” e dopo
aver riflettuto un attimo continuò “mi hanno detto che è in Via delle Camelie.”
Capii subito di quale abitazione stava parlando; ad un paio
di chilometri da li, lungo una strada non asfaltata che passava tra i campi dei
contadini locali e che andava a perdersi nei pressi di un faggeto, si ergeva un’antica
villa dal giardino enorme, ricco di altissimi alberi e al cui ingresso, a
renderla ancora più misteriosa, c’era un imponente cancello in ferro battuto.
“Si ho capito, se vuole le faccio strada io” proposi alla
donna.
“Sarebbe molto gentile da parte sua.” rispose lei mentre
tornava ad indossare gli occhiali.
Le feci dunque segno di seguirmi e girai a sinistra per
avviarmi verso la strada principale, ma quando osservai dallo specchietto
retrovisore, mi accorsi che la signora non mi stava seguendo. Accostai sul lato
della strada, pensando che forse stava sistemando alcune cose in auto, ma dopo
alcuni minuti ancora non si vedeva nessuno. Feci una veloce retromarcia fino
all’incrocio, ma incredibilmente lo trovai deserto. Inizialmente considerai che
forse mi aveva voluto fare uno scherzo, ma scartai subito quell’ipotesi,
soprattutto perché non c’era assolutamente nulla di comico in uno scherzo così.
Pensai, allora, che forse aveva fatto il giro del quartiere per uscire in fondo
alla strada, anche se la cosa sarebbe stata, quanto meno insensata. Perché fare
inversione, tornare indietro e venir fuori qualche centinaio di metri più
avanti, quando uscendo da quell’incrocio avrebbe risparmiato tempo e le energie
di una manovra inutile? Decisi comunque di controllare e feci il giro in
direzione opposta in maniera da venirle incontro, in caso avesse deciso di fare
quell’assurda manovra, ma non trovai traccia della signora bionda, ne della sua
Punto rossa.
Cominciai a provare una
sorta di disagio; in quella situazione c’era qualcosa di assolutamente
sbagliato. Da quando mi ero offerto di accompagnarla erano passati meno di
cinque minuti, dunque anche prendendo per buona la teoria dello scherzo, non avrebbe avuto il tempo di nascondersi da
nessuna parte, anche perché, come ho già detto, in quel quartiere non c’erano
stradine secondarie o laterali, ma un'unica via a ferro di cavallo. Feci
un’altra volta il giro, per accertarmi di non essermi sbagliato, magari avevo
incrociato l’auto senza accorgermene, ma anche questa volta non ebbi maggior
fortuna. Provai a chiedere ai ragazzini che stavano giocando per strada se
avessero visto qualcosa, ma mi risposero che
non avevano visto passare nessun’auto a parte la mia.
A quel punto un brivido mi percorse la spina dorsale. Semplicemente
la donna nella Punto rossa era svanita nel nulla; o forse non c’era mai stata…
Continuai a rimuginare su quella storia per tutto il resto
del pomeriggio, tuttavia quella sera a cena con tutta la compagnia, non volevo
che gli altri si preoccupassero per me, per cui cercai di comportarmi come al
solito. Poi Alberto raccontò la sua storia e tutto cambiò.
“L’altro giorno mi è capitato un fatto stranissimo” esordì
“stavo tornado dalla palestra, ed ero nei pressi del quartiere dove Matteo e
Giulia si stanno costruendo l’appartamento. Sul lato della strada ho notato una
bella donna su una Punto rossa che sembrava in difficoltà. Le ho chiesto se
potevo esserle d’aiuto e lei mi ha chiesto indicazioni per la vecchia villa
vicina al bosco di faggi. Le ho spiegato come arrivarci e l’ho salutata, ma
appena ripartito mi sono reso conto che avevo sbagliato nel spiegarle la
strada, allora mi sono fermato…”
“Ma quando ti sei voltato per richiamarla lei era sparita
nel nulla” intervenni io “era sparita nel nulla nonostante non avesse avuto il
tempo di allontanarsi”
“Esatto, ma tu come fai a….che c’è Matteo?”
Si voltarono tutti a guardarmi, ero improvvisamente
impallidito e stavo vistosamente tremando.
“L’ho vista anch’io” affermai
Raccontai così quello che mi era accaduto quel pomeriggio e
quando finii sulla tavola era calato un pesante silenzio. Nessuno sapeva cosa
dire, fino a quando anche Patrizia disse:
“L’ha vista anche mia zia, e so che anche altra gente
racconta di aver parlato con una donna bionda alla guida di una Punto rossa che
sparisce all’improvviso”
In quel momento presi la decisione che avrei scoperto chi
era quella donna, altrimenti avrei rischiato di ammalarmi.
Domandai un po’ di giro, ma senza ottenere nessuna
informazione utile per far luce su quel mistero.
La cosa sicura ormai, è che avevo a che fare con un fantasma
o qualcosa di simile, ma anche se qualcuno affermava di aver visto qualcosa di
strano, nessuno aveva idea di chi potesse essere quella donna.
Alla fine le mie ricerche mi portarono alla vecchia villa,
di cui la donna chiedeva sempre informazioni. Suonai al campanello
dell’imponente cancellata e dalla dependance, adibita ad alloggio per il
personale, venne ad aprirmi quello che doveva essere il maggiordomo.
“Si, prego?” chiese
Senza entrare troppo nei dettagli, gli dissi che stavo
cercando una ragazza bionda di cui ignoravo il nome, ma che sapevo guidasse una
Punto rossa e che l’ultima volta che avevo visto era diretta proprio in quella
casa.
“Mi spiace, non ne so nulla” rispose lui gentilmente
“Potrei chiedere al padrone di casa?” insistetti
Il maggiordomo, si portò la mano al mento e fece roteare un
paio di volte gli occhi, come a valutare la mia richiesta.
“D’accordo…” acconsentì alla fine
L’uomo mi accompagnò in casa
e mi fece accomodare in un salottino.
“Attenda qui un attimo”mi disse
Dopo qualche minuto mi venne ad accogliere un uomo anziano,
di circa ottant’anni, alto e allampanato, camminava lento, trascinandosi dietro
ad un grosso bastone da passeggio.
I capelli bianchi che gli scendevano lunghi fin oltre le
spalle, gli incorniciavano un volto incredibilmente magro e spigoloso.
“Buongiorno, mi chiamo Matteo Zanardi” mi presentai
“Valerio Spada” rispose l’uomo guardandomi da sopra gli
occhiali
Fui sorpreso dalla forza con la quale mi strinse la mano;
non mi sarei mai aspettato tanta energia in braccia tanto esili.
“Cosa vuole esattamente da me?” chiese seccamente
Riferii al vecchio la stessa storia che avevo già raccontato
al suo maggiordomo, ma questi mi interruppe con un gesto brusco della mano.
“Lei non può voler parlare con quella donna, mi dica cos’è
venuto a fare qui”
“Perché, secondo lei, mi sarei inventato tutta questa
storia?”
“Perché quella donna è un fantasma, almeno per quanto mi
riguarda…”
Capii in quel momento che quell’uomo sapeva più di quanto
sospettassi, decisi dunque di essere sincero fino in fondo, anche a costo che
mi prendesse per pazzo. Gli raccontai, dunque, di quando incontrai la donna
misteriosa e di come rimasi sconvolto quando mi accorsi che era sparita nel nulla;
gli riferii che anche altra gente l’aveva vista e che se non avessi trovato
soluzione a quel mistero non avrei più avuto pace.
Dopo aver ascoltato silenziosamente la mia storia il signor
Spada trasse un profondo respiro, poi si avvicinò al tavolino e dal cassetto ne
estrasse un oggetto che immediatamente mi porse.
Era una fotografia sulla quale era raffigurata la donna
bionda affianco ad ragazzo dai capelli scuri, di qualche anno più giovane di
lei.
“…è lei…” borbottai io
Invece di rispondermi il signor Spada cominciò a raccontare:
“Dieci anni fa, mio figlio Davide conobbe questa donna. Si
chiamava Alice. Lei era più grande di lui di quasi dieci anni, ma si volevano
comunque molto bene; almeno all’inizio. Per un breve periodo andarono a
convivere, avevano anche fissato la data delle nozze, ma poi successe qualcosa.
Davide cominciò a frequentare brutte compagnie, non so dove avesse conosciuto
queste persone, ma fu spesso invischiato in storie di droga e sesso, e solo
grazie alle mie conoscenze sono riuscito a non farlo finire in prigione. Dopo
solo tre mesi che si erano conosciuti, Davide lasciò Alice e abbandonò il loro
appartamento, andando a vivere a casa di uno dei suoi nuovi amici. Proprio in
quel periodo Alice scoprì di essere incinta, per cui chiese a mio figlio di
darle un aiuto economico per la crescita del figlio. Lui si rifiutò e le disse
di non farsi più vedere altrimenti l’avrebbe ammazzata. Per un po’ lei se ne
restò tranquilla, ma dopo un paio di settimane mi telefonò e mi disse che se
non l’avessi aiutata avrebbe fatto condannare Davide, che aveva tra le mani
delle prove che lo incriminavano e stavolta non avrei potuto far nulla per
tenerlo fuori da questa vicenda.
Accettai di incontrarla con la speranza di giungere ad un
compromesso e le diedi appuntamento qui da me; ma non sapevo che Davide aveva
ascoltato quella telefonata.
Due giorni dopo Alice fu trovata all’interno della sua auto,
una Punto rossa, in campo poco distante di qui, proprio dove ora c’è il
quartiere dove lei, Matteo, ha comprato casa, ammazzata da un colpo di pistola
alla testa. Il colpevole non fu mai trovato, ma un giorno, forse in un momento
di rimorso, Davide ammise di essere stato lui, anche se poi negò la
confessione.
Non ho mai trovato il coraggio di denunciare mio figlio, ma
poi ci pensò il destino a rimediare.
Cinque anni fa il suo corpo fu ritrovato nell’appartamento
che aveva per pochi mesi condiviso con Alice. Morì di overdose.
Quando lo seppellii sperai di seppellire con lui anche
questa brutta storia, ma a quanto pare certi segreti non sono destinati a
rimanere tali…”
Rimasi silenziosamente ad ascoltare il racconto di quel
vecchio, poi mi alzai e strappai la foto che avevo ancora in mano.
Il signor Spada mi guardò stupito, poi capì e sorrise.
Lasciai quella casa e i misteri che la riguardavano, deciso
a mettere la parola fine su quella
storia.
Da quel giorno non ho più rivisto Alice, ne la sua auto e
per quanto ne so, nessun altro l’ho più rivista.
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